Mappe delle mie emozioni

e perchè esplorare le emozioni è il modo migliore per conoscerle…

Le emozioni non si insegnano, si vivono, si affrontano, si scoprono, si parlano, si esplorano. Per questo motivo uno dei miei albi preferiti per parlare di emozioni è questo: “La mappa delle mie emozioni” di Bimba Landmann edito da Camelozampa  puoi trovarlo qui! 

Questo albo è un ottimo esempio di come le emozioni siano sfumature in cui le terre esplorate diventino così simili e così diverse. Abbiamo la terra della speranza in cui troviamo la “strada che guarda lontano” e il “piccolo lago delle idee”. Una terra in cui ritroviamo immagini e parole che spesso vengono utilizzate quando si parla di psicoeducazione alle emozioni, parole che bambini e ragazzi riportano spesso nelle loro narrazioni, ma che altrettanto spesso vengono poco ascoltate e giudicate come parole da sognatori. Quasi che quelle parole non fossero reali emozioni.

Le terre della paura, sono tinte di giallo e raccolgono il batticuore, il terrore, il castello pallido e la strada senza via d’uscita. Quante di queste parole vengono usate da bambini e ragazzi quando parlano delle  loro paure: paure del futuro, della scuola, nelle relazioni. L’immagine delle terre in cui viaggiare ci permette di aprire un punto importante delle emozioni e della psicoeducazione: non esiste una scala gerarchica che va in un’unica direzione, ma c’è una esplorazione che ci permette di conoscere e sperimentare gradi diversi in momenti diversi, delle nostre emozioni.

Questo albo racconta mille storie diverse, racconta storie lunghissime in cui  il disgusto diventa inaccettabile, e storie di pochi secondi in cui il Mare Esultanza, diventa l’unico orizzonte che abbiamo.

Questo albo può essere una mappa preziosa per iniziare un percorso di psicoeducazione emotiva; uno strumento in cui rispecchiarsi o da cui prendere parole nuove, un disegno in cui rispecchiarsi, ma anche una partenza per scrivere la propria mappa delle emozioni.

Spesso mostro queste immagini a bambini e ragazzi dicendo loro “da che punto della mappa vorresti partire?” e già da questa scelta mi accorgo cosa preme di più a loro, in quel momento e, cosa vogliono evitare.

Certo non basta un libro e poche chiacchiere, oltre al primo passaggio ci vuole conoscenza e professionalità, occorre un professionista che conosce queste terre, che le ha esplorate a sua volta e che riesca a guidare i nuovi esploratori spesso spaventati o incuriositi.

quando si possono esplorare le emozioni, e quando è necessario farlo

In ogni momento è possibile fare un intervento psicoeducativo mirato, ma ci sono momenti in cui è più importante, momenti in cui è fondamentale.

Pensiamo a un bambino o una bambina che fatica a stare con i compagnǝ perchè si sente spaventata o non compresa, sarà importante capire e dare le giuste parole a quella sensazione. Altri potrebbero avere difficoltà nel rapporto con il loro corpo, ma se non riescono a trovare la giusta descrizione per quello che sentono e  rischiano di trovare, come unica strategia, comportamenti negativi che possono peggiorare il loro benessere mentale e anche fisico.

Se unǝ bambinǝ o unǝ  ragazzǝ faticano a restare attenti, ma non conoscono cosa sia e che nome abbia quella sensazione che li prende ogni volta che a scuola vengono rimproverati per questo, non potranno migliorare le loro capacità attentive, perchè non riusciranno a condividere ciò che sentono e a cosa è collegato.   

Per questi e molti altri motivi ho scelto di parlare di psicoeducazione emotiva in un webinar che potete trovare  a questa pagina. 

Esplorare assieme a bambini ragazzi le emozioni è un viaggio entusiasmante ma anche delicato, per questo non possiamo lasciare nulla al caso.

“Dentro me cosa c’è?” perché è importante che bambini e ragazzi conoscano chi sono

Dentro me cosa c’è? edito da Terre Di Mezzo

Tutte le persone in momenti diversi della vita si fanno questa domanda: dentro me cosa c’è? E’ una domanda che contiene il senso della persona, l’esigenza di conoscersi, il capire chi si è e cosa sta dentro la nostra mente e dentro il nostro corpo. Quindi chiediamoci “Dentro me cosa c’è?” e perchè è importante che bambini e ragazzi conoscano chi sono.

le emozioni

Partiamo da loro: le emozioni. Sulle emozioni si è detto moltissimo, ci sono tantissimi libri, corsi di formazione, film… ma spesso non ci si ferma ad ascoltarle. Guardate questa illustrazione ci sono molte emozioni al suo interno, c’è il nero, il colore, l’illustrazione, il buio (cosa vedo), il mal di pancia (cosa sento), l’emozione (le farfalle nello stomaco). Dividere e allo stesso tempo, unire, ciò che si prova quando si sente un’emozione è un processo difficile che richiede tempo, richiede allenamento ma è fondamentale per sapere cosa si prova.

Abituare i bambini, che saranno poi ragazzi, a fermarsi a sentire ciò che c’è dentro di loro, è uno degli aspetti fondamentali per sapere nel modo più preciso possibile, cosa provo in quella situazione e quindi come posso reagire. Questo aspetto diventa quindi un fattore protettivo ( trovi un approfondimento qui https://www.serenaneri.it/pregiudizi-sulla-salute-mentale/ ).

I pensieri

Spesso questo è l’aspetto più difficile per i bambini e le bambine, dare voce ai propri pensieri. Per farlo abbiamo bisogno come prima di fermarci, di ascoltare “nel cervello molti perchè” . La capacità di comprendere i propri pensieri, è un fattore protettivo in quanto permette alla persona di sentire come propri i pensieri che sente e questo dà la capacità di poterli anticipare (cosa penso in questa situazione), ma anche di pensare a ciò che potrebbe accadere dopo ( cosa potrei pensare in questa situazione). Avere la capacità di sentire e dare voce ai propri pensieri, è un enorme fattore protettivo perchè permette la possibilità di utilizzare il problem solving, la flessibilità cognitiva, la comprensione dei pensieri dell’altro.

Forse ci capita spesso di chiedere ai bambini cosa hanno fatto, ma poco di chiedere “cosa hai pensato in quel momento?”… questo potrebbe già essere un ottimo inizio.

io sono anche il mio corpo

Tendiamo a essere molto attenti al benessere fisico dei bambini, li guardiamo, li osserviamo, vediamo se crescono in modo adeguato, chiediamo al medico se tutto va bene… poi cambia il nostro sguardo. I corpi diventano qualcosa da giudicare, da osservare perchè non diventi qualcosa di “diverso” da ciò che dovrebbe essere. Il corpo diventa un accessorio proprio nel momento in cui il corpo viene giudicato a livello sociale, viene vissuto come faticoso e pieni di cambiamenti.

“Dentro me cosa c’è?” descrive anche un corpo, uno stomaco, una pettinatura… e tutto questo arricchisce la domanda iniziale e pone la domanda esistenziale del “sono io?” . Sono io quel corpo che cambia, quel taglio di capelli, quel vestito che mi sta in quel modo, questi piedi che crescono, questo viso che cambia…

Il corpo fa parte del nostro modo di conoscere noi stessi e ciò che ci sta attorno, ma se considero il corpo solo come qualcosa da giudicare, da riempire o da svuotare, come posso riconoscerlo strumento di conoscenza fondamentale per la mia persona?

Iniziamo a mostrare e descrivere come il nostro corpo ci aiuta nelle azioni quotidiane , anzi sia fondamentale indipendentemente dall’essere magro o grasso, lungo o corto, con o senza una disabilità, ma iniziare a descrivere il proprio corpo senza giudizio.

noi siamo tante cose…non cerchiamo di semplificarlo!

Spesso cerchiamo di incasellare i bambini e i ragazzi in poche parole o in poche azioni, dimenticandoci che tutti noi siamo tante cose insieme, che sono i momenti diversi che ci caratterizzano e che oltre alle etichette, siamo anche una serie di scelte, di passioni, di valori, sin da piccoli.

Abituare alla complessità, all’esperienza delle molteplici risposte, aiuta a comprendere che ci possono essere varie soluzioni, che ci possono essere più comportamenti adeguati in un solo contesto. Permette di fondere senza giudizio più emozioni diverse, più pensieri diversi a volte anche contrapposte fra loro.

Unǝ bambinǝ può provare estrema gioia a casa ed estrema tristezza in un altro contesto, è sempre lǝ stessǝ bambinǝ ma, non dobbiamo pensarlo solo come felice o triste; è un insieme di tutte queste emozioni e sensazioni.

Dentro me cosa c’è?… un’infinità di cose, questo albo illustrato ci permette proprio di comprenderle tutte. Buona esplorazione di complessità a tuttiǝ voi!

per saperne di più

Per capire ancora meglio cosa si intende per fattori protettivi puoi leggere questo articolo dell’UNICEF https://www.unicef.it/diritti-bambini-italia/salute/salute-mentale/

Ella sulle onde: la storia di un viaggio da affrontare

Ella sulle onde” è un albo illustrato che racconta la storia di un viaggio da affrontare. Ella parte su una piccola barca, che diventa la storia per ritrovare la felicità, la storia che parte da una notte buia, un momento triste, e da lì la necessità di cercarsi.

Spesso la metafora del viaggio viene usata in psicologia proprio perchè legata alla fasi in cui un viaggio si vive: partenza, percorso e arrivo. In questo albo sono tutte presenti e penso che ognuno di noi possa trovare la sua parte di viaggio. Iniziamo.

partenza

Ella si trova in un luogo privo di luce, è da sola seduta su una piccola nave e ha paura. Penso a tutti i bambine e le bambine, le ragazze e i ragazzi, le famiglie che vedo per lavoro e che spesso si sentono soli, abbandonati e brancolano nel buio per capire dove trovare le risposte che cercano. In questi momenti non c’è il dinamismo che spesso si associa al viaggio, ma c’è la staticità, il sentirsi immobile. La partenza non sempre viene da una spinta, a volte nasce proprio dal vedersi fermi.

Vedo che non mi sento meglio, vedo che a scuola non miglioro, vedo che non mi sento tranquillǝ, vedo che non stanno cambiando le mie relazioni, vedo che gli altri si muovono e io sono fermǝ.

percorso

Ella viene invitata a partire da un uccello bianco, o meglio a continuare il suo viaggio. Questo personaggio la accompagna, non la costringe, non la tira, non la tiene per mano, ma accompagna da lontano.

Penso a quante volte le persone, i bambini e le bambine, si trovino in una situazione di paura, di solitudine, in momenti dolorosi della loro vita o semplicemente in momenti in cui tutto sembra fermo. A volte è sufficiente trovare qualcuno che ci accompagna dall’alto, che segue i nostri passi dalla giusta distanza: può essere un insegnante, un amico, un terapista…e su questo mi soffermo un attimo.

creative photo of person holding glass mason jar under a starry sky
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Occuparsi di salute mentale non significa mai e poi mai sostituirsi. Non significa dire le cose più comode da fare o dire quello che fa piacere. Occuparsi di salute mentale significa mantenere la giusta distanza per mostrare nuove strade e nuove prospettive. Il buio non si scaccia all’improvviso con una luce accecante, si fa strada con un piccolo lumino, non dobbiamo spaventare, ma dare la giusta intensità di luce al cammino che proponiamo.

Nella pratica non possiamo solo soffermarci sul risultato finale che vorremmo ottenere (migliorare l’attenzione, essere più felici, migliorare l’apprendimento scolastico…), ma dobbiamo partire da come ci si sente ora, dalle abilità che possiamo usare da subito, e da lì sviluppare…il nostro viaggio.

una balena lungo il percorso
Ella sulle onde la storia di un viaggio da affrontare

Verso la metà del viaggio, Ella è sconsolata, qualcuno l’ha aiutata ad andare avanti, altri invece l’hanno ostacolata, ma poi incontra una balena. Meglio, la balena va verso il cammino di Ella. Durante il percorso c’è la casualità, ma spesso c’è anche l’intenzione di aiutare.

L’intenzione nell’aiuto deve essere sempre da entrambe le parti: chi aiuta e chi viene aiutato. Balena spiega come può aiutare Ella, ed Ella si fida e si lascia aiutare.

Quando si inizia un percorso terapeutico o di riabilitazione, la prima parte, la più importante, è quella di definire gli obiettivi, spiegare in cosa consiste il nostro aiuto. Balena però può essere anche una persona che porta la sua esperienza “di chi ha navigato per tanto tempo nell’oceano”, e la sua esperienza, è diversa da quella di Ella ma ne conosce più sfumature, ne riporta una storia. Ella trova in balena, un aiuto che non solo la sostiene, ma che la fa sentire compresa. Ciò non significa che un professionista per la salute mentale debba passare tutte le difficoltà dell’altro, ma che deve conoscere le proprie emozioni, le proprie fatiche ed i propri limiti (diffidate sempre da chi si occupa di tutto! come si fa a solcare l’oceano e a comprendere anche le montagne?).

arrivo
Ella sulle onde la storia di un viaggio da affrontare

Ella durante il percorso incontra personaggi ed emozioni spaventose. Ella resta seduta sulla sua barchetta in preda alle onde fino a quando non scorge l’arrivo. Un luogo con tante persone che stavano navigando come lei. Di persone che erano a fianco a lei sulle proprie barchette per arrivare sull’isola in cui si trovano tutti ora.

Non sappiamo se questa isoletta si l’arrivo, o solo un primo arrivo…o forse il secondo o il terzo.

Il viaggio per comprendersi, per raggiungere un obiettivo personale, per sentirsi meno affaticati, può avere moltissime tappe, moltissimi arrivi. La cosa principale è ricordare ogni parte del viaggio, ricordare la disperazione del buio, il sollievo dell’aiuto, il dubbio davanti alle onde potenti, la luce che di rende più chiaro il percorso.

La cosa principale di ogni viaggio è davvero il viaggio stesso.

Questo albo illustrato non toglie niente, non rende tutto bello, mostra le difficoltà e i momenti di delusione. Ogni volta che intraprendiamo un percorso per la salute mentale dobbiamo dire anche queste parti: la fatica del cambiamento, le cose che potrebbero cambiare durante il percorso, le eventuali ricadute causate da eventi o persone specifiche. Questi si chiamano fattori precipitanti, come quelliche fanno precipitare le persone dalle navi…ma ci sono anche i fattori protettivi, come la balena che ci sostiene mentre stiamo per cadere.

Ecco penso che questo albo sia meraviglioso per illustrare un nuovo viaggio per la salute mentale da effettuare insieme.

Approfondimenti

https://www.stateofmind.it/2019/09/viaggio-psicologia/

https://www.terre.it/prodotto/ella-sulle-onde/

Normale e complicato: le storie dei lutti

Ogni volta che pensiamo al lutto, pensiamo subito alla morte delle persone, pensiamo che si possa provare solo per altri il sentimento angosciante del lutto. “Normale e complicato” le storie dei lutti…

“Normale e complicato” di Sara Ancois

Si pensa anche che i bambini e i ragazzi non possano sentire realmente un lutto “ lo prenderanno come un momento, cosa vuoi che cambi per loro…” o che non possano capire, e quindi ,invece di ascoltarli, inventiamo noi le storie per il loro dolore.

“Normale e complicato” con quella e che unisce e che non decide nulla, senza quell’accento che gli dà peso, che vuole farlo esistere, ma una piccola e che unisce la normalità alle cose complicate. Questo albo unisce il dolore e il tempo che ne occorre, la capacità di sentire il dolore e provare a lavorare assieme a lui, ma anche l’idea di lasciarlo da solo.

lutto non è solo in caso di morte… è normale e complicato
normale e complicato: le storie dei lutti

Il lutto può essere anche la perdita di un ruolo sociale che avevo, pensiamo ai ragazzi che cambiano scuola, compagnia di amici, o si trovano in situazioni famigliari che cambiano in modo rapido e imprevisto. Il lutto può essere il venire a conoscenza di avere una malattia, non solo fisica, ma anche mentale.

Pensate che sia semplice accettare che ho un disturbo dell’apprendimento, o un disturbo alimentare, o un disturbo mentale? Non lo è, perché il lutto che vediamo in queste pagine riprende il tema dello specchio in cui non mi riconosco, ma in cui vedo chi sono ora. Mi piace questa immagine dello specchio, in cui la persona che si faccia alla superficie illuminata crede di essere in un certo modo, pensa ai propri tratti del viso, la propria statura, la forma del proprio fisico; ma quando vede la propria immagine riflessa, vede il suo lutto, vede la sua trasformazione ingarbugliata e sconosciuta.

un albo per molte interpretazioni

Questo albo illustrato lascia aperte molte interpretazioni, ed è uno dei motivi per cui mi piace moltissimo, un albo che parla di utile e di inutile, di pesante e leggero, che raffigura un uomo nero pesante e una piuma colorata, leggera. Il peso di una scelta, la leggerezza del cambiamento, il peso del cambiamento e la leggerezza di poter scegliere.  Su questo mi vengono  in mente i tanti ragazzi che per anni hanno pensato di scegliere quella scuola, quel lavoro, quella relazione, e invece si trovano a fare i conti con ciò che sono realmente diventati, e vivono il lutto di vedersi cambiati o di dover cambiare il proprio bagaglio personale.

Questo albo creato con poche parole e tratti decisi, è frutto di un lavoro di relazioni terapeutiche della dottoressa Sara Ancois ( qui trovate una sua intervista https://metismagazine.com/2022/08/05/intervista-a-sara-ancois-autrice-di-normale-e-complicato-ovvero-come-la-mente-ci-protegge-dagli-effetti-del-dolore/ ) che mostra il lutto come relazione di scambio e non come esperienza solitaria. La nostra società è ancora piena di stereotipi per cui il dolore è negativo, devi gestirlo da solo e in fretta. Abbiamo bisogno di albi come questo che parlano a molti, parlano delle parole che il lutto può aiutare a dire, al modo in cui possiamo ma non dobbiamo, sentirci. 

Il lutto è un processo in cui gli strumenti (occhiali, scarpe, Sacchi…) hanno valore per un breve tempo, ma poi diventano pesanti e difficili da pensare in modo distante da me. 

Il lutto è normale, e certamente complicato, il lutto unisce con una E e non deve diventare una persona   con una “è”.

La mia ferita cambia forma 

oggi 

somiglia all’ago di una bussola

“Grande panda e piccolo drago”… e i pensieri disfunzionali

I pensieri sono per loro natura astratti, non concreti e questo rende la loro spiegazione difficile; per questo ho trovato nell’albo “Grande Panda e piccolo Drago” edito da Rizzoli, possa essere un aiuto concreto per capire i pensieri disfunzionali.

cosa sono i pensieri disfunzionali
Grande Panda e piccolo drago… e i pensieri disfunzionali

I pensieri disfunzionali sono stati spiegati per la prima volta da Albert Ellis, fondatore della REBT (terapia comportamentale razionale emotiva), percorso che si può riassumere in questi punti:

  • le nostre emozioni derivano dai nostri pensieri;
  • i pensieri disfunzionali, cioè che non raggiungono l’obiettivo di benessere mentale personale, possono portare a difficoltà emotive e comportamentali;
  • queste difficoltà possono essere superate conoscendo per poi cambiare i pensieri irrazionali con pensieri razionalie quindi funzionali all’obiettivo della salute mentale

Spesso i ragazzi si accorgono di avere pensieri fastidiosi e che provocano comportamenti che possono essere considerati non adeguati o comunque diversi rispetto a comportamenti avuti prima (prima uscivo e ora invece mi sento giudicato, prima facevo sport e adesso penso che tutto vada male e non riesco a farlo). Spiegare questi tipi di pensieri è il primo passo degli interventi di psicoeducazione, ne avevo parlato qui https://www.serenaneri.it/psicoeducazione-strumento-di-prevenzione/

Questo aspetto è fondamentale per prevenire disturbi di ansia, depressivi, disturbi del comportamento alimentare e in generale per un maggior benessere della persona. Comprendere questi pensieri ci permette di poter sentire meglio le emozioni provate, e quindi di attuare comportamenti adeguati, efficaci e che tendono al benessere.

la fatica del rendere visibili i pensieri

Spesso la grande difficoltà è rendere un pensiero concreto, trovare le parole giuste per descriverlo. Ancora un volta gli albi illustrati sono tornati in mio aiuto e soprattutto questo albo che è diviso in tavole singole, in cui la storia è rappresentate dall’insieme di momenti che accadono durante un anno. Le immagini accompagnate da brevi frasi, aiutano a creare nuove immagini e a legarle a propri eventi della vita.

“Prestare attenzione” è una frase che bambini e ragazzi si sentono dire spesso, ma come si fa in pratica a prestare attenzione? Sicuramente l’immagine in cui Piccolo Drago va a sbattere contro Grande Panda, rende decisamente meglio l’idea!

Da qui possono nascere altre ricordi di situazioni simili o di situazioni ipotetiche in cui occorre “prestare attenzione”.

Torniamo ai pensieri disfunzionali e conosciamone qualcuno.

pensiero catastrofico: andrà tutto malissimo!

Quante volte chiamiamo questi pensieri come pessimismo, vedere il bicchiere mezzo vuoto, realismo perchè davvero tutto va male. Ma collegate questa frase all’immagine seguente…

Forse non è più così reale che tutto vada male, che tutto sia negativo, forse il pensiero dovrebbe essere più ampio e vedere tutto ciò che sta davanti a noi.

Usare queste immagini ci permette di lavorare sia a livello relazionale ( i ragazzi e le ragazze a cui le ho proposte sono rimasti e rimaste, entusiasti!), sia stimolando il pensiero ipotetico che permette una maggiore flessibilità cognitiva. Partiamo dal pensiero scorretto, cerchiamo di trovarlo nella nostra realtà quotidiana, proviamo a correggerlo usando parole nuove e usiamo questa correzione ogni volta che sentiamo tornare il pensiero per cui “tutto va malissimo!”.

svalutare il positivo

Spesso gli obblighi sociali e morali, il bisogno di emergere e di avere determinate performance, ci porta a pensare che “non sono abbastanza bravə” . In modo semplice e diretto questa immagine ci può aiutare a comprendere e correggere il nostro pensiero. Penso di non essere abbastanza bravə, e ciò accade spesso quando utilizzo come metro il giudizio degli altri, mi confronto e perdo l’obiettivo finale …fiorire.

letTURA DEL PENSIERO

“Se faccio pensieri brutti sono una brutta persona?” disse Piccolo Drago “No” disse grande Panda “le onde non sono l’oceano e i pensieri non sono la mente”

Spesso un singolo pensiero occupa tutta la nostra mente, utilizza le nostre forze e ci limita nelle nostre azioni. La lettura del pensiero intende proprio soffermarsi su quanto diamo per scontato di sapere ciò che pensano gli altri, quanto ci concentriamo su un singolo pensiero e perdiamo la complessità di ciò che ci circonda.

devo e dovrei

Spesso le frasi che diciamo a noi stessi includono un dovere: un dover fare delle cose, dover essere in un certo modo, dover pensare alcune idee precise.

Quei “devo” che diventano pensieri limitanti che ci portano lontano dal momento presente e dalla presenza nel qui e ora. Partire da ciò che stiamo vivendo, dovrebbe aiutarci a togliere qualche obbligo mentale e a cambiare il dovere in una possibilità.

Potete approfondire il tema qui https://www.stefaniaciocca.it/2022/05/15/mindfulness-e-albi-illustrati-ep-3/ , Stefania Ciocca usando questo albo in modo mindfulness.

Una singola immagine può avere una potenza incredibile. Una singola immagine può aiutarci a concretizzare pensieri, emozioni e sensazioni. Una singola immagine può aiutare a raccontare la nostra storia o la storia della persona che abbiamo davanti

Spero vogliate prendere questo libro, scoprire la vostra immagine e dare forma concreta al vostro pensiero.

La vera storia della strega cattiva: pregiudizi e realtà

In ogni società, in ogni luogo, in ogni storia c’è una strega cattiva. Una strega contro cui tutti puntano il dito, una strega su cui ricadono tutte le colpe. In ogni storia esistono pregiudizi e realtà, in questa storia andiamo a presentare la vera storia di ogni strega cattiva.

Avevo già parlato di questo albo su Instagram ( https://www.instagram.com/p/CdAk1AFsIdZ/?utm_source=ig_web_copy_link ) ma qui vorrei soffermarmi sul perché è utile leggerlo assieme a bambini e adolescenti e perché poterlo fare per la salute mentale.


la vera storia e il giudizio nella storia

“A chi non scaccia nel bosco la strega che è dentro di noi ma ha il coraggio di conoscerla e addomesticarla” L.T

L’albo inizia come la più classica delle fiabe “Qualche tempo fa, in un paese lontano, era nata una bambina“. Una descrizione, oggettiva, reale a cui segue subito un giudizio terribile “era nata brutta, tanto brutta[…] la mamma e il papà ne erano addolorati. Si dimenticarono anche di darle il nome“. Sin dall’inizio della storia il giudizio entra nella narrazione e diventa la storia stessa. Il pregiudizio, prende il posto della realtà.

La bambina viene lasciata a se stessa, e quando esce per le strade il nome le viene dato, le viene dato il nome in base alle sue caratteristiche e ai pregiudizi di ognuno: strega.

La vera storia della strega cattiva: pregiudizi e realtà

Venne allontanata dal paese e inizio a credere lei stessa di essere una strega, di meritarsi quel nome, di essere quel nome. Arrivarono nella sua casa in mezzo al bosco, tanti bambini che la Strega prontamente mangiò, perché è quello che la rendeva una strega. Poi arrivarono Hansel e Gretel che la uccisero gettandola in un forno e sconfiggendo la strega cattiva, che era solo una bambina.

Qualche tempo fa, così per caso, era nata una strega. A dir la verità, non lo era ancora Strega, quando era nata. Lo diventò dopo: una vera strega Cattiva. Ma quando era nata, era solo una bambina.”

Le immagini dell’albo accompagnano il lettore in una storia di sfumature, in cui però il pregiudizio, la fretta nel dare un nome a ciò che si vede, cambia la storia.

Pensate se quella bambina invece di essere chiamata “brutta” e “strega” fosse stata curata, vestita, educata, se qualcuno avesse giocato con lei e le avesse dato un nome proprio e non un nome comune che richiama ad un personaggio; non credete che la storia della strega cattiva sarebbe stata diversa?

educare all’osservazione e non al giudizio
La vera storia della strega cattiva: pregiudizi e realtà

Allora proviamo a trovare alcuni spunti di riflessione per capire come il pregiudizio incide sulla realtà.

Il villaggio sceglie per quella bambina la via più semplice del pregiudizio, dell’etichettamento, di mettere una persona dentro a un limite; certo è più semplice, ma non è conveniente. Da quel momento molti bambini che entrano nella foresta vengono mangiati dalla strega, la gente ne ha paura, non si avvicina, cambia le proprie abitudini.

Senza il pregiudizio tutti sarebbero stati meglio.

nella realtà…

Portiamo questo concetto nella nostra quotidianità. Quando penso che una persona “non è normale, è matta, va dallo psicologo o dal terapista perchè ha qualcosa che non va…” la allontano, la trasformo nelle parole che uso per descriverla. Se invece osservo il suo malessere, la sua fatica ad affrontare alcune situazioni, trovo in quella persona la voglia di ascoltarla e di complimentarmi con lei per aver chiesto aiuto.

Se un bambino o una bambina sono definiti “difficili” non osserverò ciò che vivono, come si comportano, non vedrò più loro come persone, ma vedrò la loro etichetta. Un’etichetta così semplice quanto poco realistica.

Fare prevenzione per la salute mentale con bambini e adolescenti, parte proprio dall’uso delle parole giusto, dall’osservazione della realtà, dal sentire ciò che si prova e capire da dove deriva quella sensazione. Fare prevenzione non passa solo per progetti sistematizzati, ma inizia dall’uso delle parole nella quotidianità iniziando proprio da noi adulti e dai pregiudizi e dalle parole che utilizziamo nella nostra comunicazione. Troveremo etichette e giudizi molto più spesso di quel che pensiamo, ma non deve spaventarci, deve invitarci a migliorare il nostro modo di parlare, pensare e rapportarci con gli altri. Significa prendersi cura della nostra strega cattiva e darle la possibilità di prendere un altro nome.

Se iniziamo da queste parole, da queste storie, porteremo tutto il villaggio a non aver paura della strega e a godersi con lei una passeggiata nel bosco

Qui potete leggere l’intervista all’autore https://www.terre.it/interviste/scrittori-illustratori/luca-tortolini-racconta-la-vera-storia-della-strega-cattiva/

C’era una forma: una fiaba per parlare di salute mentale

C’era una volta, edizioni L’Ippocampo

Tutte le fiabe classiche iniziano con “c’era una volta”, ma qui si parte con “c’era una forma”. Ci insegnano le forme quando siamo bambini, impariamo a misurarle, a riempirle, a scoprire quanto misurano intorno, dentro, quanto misurano da un vertice all’altro..ma non ci insegnano a raccontarle. C’era una forma penso possa essere una fiaba per parlare di salute mentale.

C’era una forma è la storia di un regno, tutta scritta come una splendida filastrocca in stile medioevale, in cui  “tutti erano ben sagomati”. Non c’erano forme senza spigoli e spigoli senza caratteristiche.

Il re angoli retti pensieri ristretti”  è colui che governa il regno guardando tutto con la sua forma, e lo stesso fa con i propri figli, che purtroppo…sono tondi.

Si provò a raddrizzarli ma anche a furia di strizzarli, con stampini e con corsetti, rimanevano imperfetti”, la perfezione era un angolo, acuto o ottuso, ma un angolo! Nessun poteva uscire da queste forme, anche a costo di sacrificarne la vita. 

Inaspettatamente arrivò così una “forma solitaria e del tutto straordinaria”, una fata che cambiava colore e poteva aiutare la regina a concepire un figlio con i vertici, ma anche capace di mostrarle che   “dietro forme lambiccate c’erano qualità spiccate!” per ognuno dei suoi figli.

Ma poi questa figlia così perfettamente triangolare scelse un marito così tondo da riuscire a ballare, il re provò a limarlo, tagliarlo, modellarlo…ma tondo era e tondo tornava fino a quando assieme alla principessa  “per un po’ dimenticarono chi denigrava le loro forme non rientrando nelle norme” .

la rigidità

Quanti spunti ci sono in questo albo, c’è la forma della rigidità. La stessa rigidità che spesso accompagna i nostri pensieri, le nostre scelte, le nostre percezioni e convinzioni. Quanto sarebbe importante riuscire a smussare queste rigidità e prendere le decisioni per ciò che sono senza per forza doverle incastrare in mezzo a piccoli vertici che ci impediscono di guardare oltre. 

Penso a questo albo proprio per attività di psicoeducazione all’ansia, per spiegare i pensieri rigidi e disfunzionali, per mostrare quanto ci accaniamo a limare tutto… ma non vediamo altri pensieri molto più funzionali per noi.

la forma e il corpo

Il guardare la forma degli altri, il corpo degli altri, la forma dei loro vestiti, dei loro accessori, notare se hanno spigoli o curve. Un albo preziosissimo per riflettere sulle forme, su quanta importanza ne diamo se ci troviamo all’interno di un regno in cui la forma è tutto. La curva vista come semplicemente una forma, un altro tipo di forma ma non un errore; una figura con più linee diverse vista per ciò che è e per ciò che può dare, non come un’imperfezione.

Questo albo potrebbe essere davvero uno spunto perfetto per parlare di società grassofobica, di perfezionismo e di come i nostri pensieri sono influenzati dal luogo e da ciò che viviamo ogni giorno.

normalizzare

Tendiamo sempre a far rientrare tutto in caselle, spigoli, linee, ben definite, a cercare un dentro e un fuori… ma spesso c’è una linea che diventa curva o tratteggiata ma resta sempre se stessa, ciò che è e ciò che potrà diventare.

Penso che questa sia la più bella forma di normalizzazione e la più potente spiegazione di salute mentale che si possa dare.

c’era una forma …

“C’era una forma” è un albo che mi ha subito entusiasmato perchè ne ho visto le sue potenzialità per parlare di salute mentale. Vedo questo albo illustrato fra le mani di adulti, di ragazzi, di bambini, lo vedo nelle mani di professionisti della salute mentale ma anche di persone che vogliono essere accettate per la loro forma e cambiare il regno in cui vivono, non le loro linee.  

Il libro puoi trovarlo qui https://www.ippocampoedizioni.it/libro/9788867226955

Raccontare la propria storia

Scritto e illustrato da me di Liniers, Terredimezzo Editore

Raccontare la propria storia, raccontarsi agli altri, è forse la cosa più difficile da fare, specie se si è un bambino.

Di solito chiediamo ai bambini cosa sanno fare o cosa non sanno fare, cosa piace e cosa non piace, ma non chiediamo mai di raccontarci una storia. Magari chiediamo che ci raccontino cosa hanno fatto, ma le loro storie immaginarie, o i loro racconti personali li ascoltiamo davvero?

Quando si lavora assieme ai bambini in un contesto riabilitativo, di cura e di relazione, non possiamo non stare ad ascoltare le loro storie, o meglio è nostro dovere chiedere di raccontarcele, con pazienza, con tempo, con sensibilità soprattutto senza giudizio!

Scritto e illustrato da mehttps://www.terre.it/?s=scritto+e+illustrato+da+me è un ottimo esempio di come nasce una storia, di quante domande la creano e di come l’idea di giusto e sbagliato o di bello e brutto, siano davvero soggettive e a volte anche un po’ inutili rispetto alla bellezza e alla pienezza di una storia ben raccontata e significativa.

Appena ho letto questo libro l’ho pensato come ci siano tantissimi aspetti visibili in questo libro, aspetti che solitamente sono difficile da rendere reali durante le attività.

le parole che prendono forma

Un libro che dichiara pensieri ed emozioni come: rimanere a bocca aperta, scritto in blu! Quel cambio di colori, quelle sottolineature, quanta realtà e concretezza. Queste pagine possono aiutarci proprio a metterci in ascolto delle sensazioni che le storie degli altri, ma anche la nostra storia, può far nascere all’improvviso.


“Che ne dici, li tiriamo fuori di lì?”

Il fumetto: quella strana nuvoletta disegnata che può mostrare graficamente pensieri o parole, quella linea che spesso viene bistrattata con “solo un fumetto dai!” ma che invece racchiude, è proprio il caso di dirlo, racchiude le parole che pronunciamo. Accade spesso che come attività terapeutica si chiede ai bambini e ragazzi di scrivere qualcosa di sé, o di disegnarsi; questo però può essere un ostacolo perchè i bambini sentono spesso che ciò che producono viene giudicato, ma questo libro può aiutarli a mettersi in moto, ad avere un segno visibile del fatto che è possibile scrivere una storia, ed è possibile che sia bellissima perchè: guardiamo il processo e non il risultato!

Con questo libro così buffo quanto profondo, ricovriamoci che quando chiediamo che ci venga raccontata una storia, la storia personale, sono i singoli passaggi che fanno la differenza e danno unicità al tutto, che rendono quella storia davvero personale.

…e c’è anche qualcosa in più…

Alla fine del libro ci sono anche dei preziosi consigli per gli adulti su come guidare la lettura e con il consiglio migliore di tutti: DIVERTITEVI!

Come parlare ai bambini della morte attraverso l’educazione emotiva

Durante il periodo di emergenza sanitaria, sentivamo quotidianamente parlare di morte, attraverso l’uso di tantissimi sinonimi , da “lutto” a “perdita” ma come parlare ai bambini di questi difficili temi?

Libri e albi illustrati sulla morte e la perdita
Tabù, Ti ricordi ancora, Sette minuti dopo mezzanotte

Mentre ascoltavo o leggevo le notizie, pensavo a tutti quei bambini a cui veniva raccontato che un loro parente, amico o vicino di casa, era morto. Ho pensato a quanti genitori e famigliari potevano trovarsi in difficoltà e l’uscita di questo libro mi è sembrato  necessario in questo momento.

Tabù di Alberto Pellai e Barbara Tamborini, Mondadori

Durante la lettura ho apprezzato l’integrazione di parti neurobiologiche con altre più legate all’educazione, un bellissimo connubio grazie ai due autori: Alberto Pellai medico e psicoterapeuta e Barbara Tamborini, psicopedagogista.

Il libro non affronta solo il tema della morte ma anche quello della separazione, non parla solo dell’evento e di come spiegarlo  in modo adeguato ai bambini , si concentra anche in modo pratico ma non semplicistico sulla modalità con cui i genitori o gli adulti di riferimento possono accompagnare questi momenti.

È un libro pieno di riflessioni in cui si passa dalla teoria alla pratica, dove il punto di accordo è l’importanza di dare ai bambini un’educazione famigliare al tema della perdita, non solo nel momento in cui ci si trova ad affrontarla, ma anche in altri momenti della quotidianità familiare.

Questo libro si basa sull’alfabetizzazione emotiva di cui riporto una breve frase tratta dal libro stesso:

“ Chi non ha dimestichezza con il mondo delle emozioni rischia di restare intrappolato in un intreccio di sensazioni a cui non sa dare parola. Il bambino impara piano piano a esprimere quello che sente dentro; a casa, a scuola, ovunque, è costantemente immerso in un flusso di relazioni che generano in lui sensazioni positive e negative. L’alfabetizzazione emotiva è un compito lungo e impegnativo. A seconda della modalità con cui gli adulti di riferimento affrontano il lutto – soprattutto in fase precoce – il bambino potrà strutturare le proprie modalità di reazione ed elaborazione in modo più o meno funzionale.”

In questa frase è raccolta la parte più importante dell’intero libro, non è un manuale pronto all’uso per l’occorrenza, ma un insieme di modalità da utilizzare nella quotidianità. Non si rivolge solo ai genitori ma anche ai docenti e alla scuola, perchè anche come gruppo classe, come istituzione si è tenuti ad accogliere il dolore di un bambino o di un ragazzo ( prima di essere un alunno resta sempre una persona!), occorre avere uno sguardo anche sul gruppo classe e saper gestire le domande che possono sorgere da tutti. Il capitolo che interessa la scuola si apre in questo modo :

“Spesso, nelle classi, si vivono lutti, separazioni o eventi più o meno gravi, con implicazioni molto diverse a seconda delle capacità di percezione e comprensione degli alunni. Se gli eventi sono improvvisi e con risvolti molto complessi, l’impatto sulla psiche dei minori coinvolti direttamente e indirettamente rischia spesso di essere notevole. Mentre la normale programmazione didattica continua a dettare i calendari delle attività scolastiche, può succedere che qualcosa irrompa sulla scena e susciti nei docenti un interrogativo importante: che spazio dare a tale evento?”

La prima cosa che gli autori chiedono di fare a insegnanti ed educatori è quello di porsi delle domande, di non lasciare passare la cosa come se nulla fosse… tutto questo rientra proprio nell’alfabetizzazione emotiva.

All’interno del libro si trovano numerosi spunti pratici fra cui film e libri dedicati a questi temi, alcuni per i ragazzi e altri per gli adulti. Non sono schede o domande precostituite ma spunti di riflessione che possono aiutare gli adulti a trovare le giuste modalità comunicative per accompagnare i propri figli in questi vissuti.

Così ho deciso di aggiungere a questa recensione altri due libri per ragazzi e bambini ( il primo è consigliato anche dagli autori del libro).

“Sette minuti dopo la mezzanotte” di Patrick Ness edito da Mondadori

Un libro che ho conosciuto qualche anno fa e che ho avuto la fortuna di leggere all’interno di alcune classi, con le giuste domande è riuscito a smuovere anche i ragazzi all’apparenza più duri e all’apparenza svogliati che hanno espresso splendide riflessioni…e perchè? Perchè questo libro unisce il fantastico alla fiaba, la realtà all’immaginazione ed è scritto in modo fluido riuscendo a catturare l’attenzione anche dei lettori meno convinti. Da questo libro hanno tratto anche l’omonimo film, fedelissimo al libro e per questo super consigliato. La storia reale parla di una ragazzo e della sua mamma che sta morendo a causa di un tumore, parla delle difficoltà del parlarne e del doversi ricostruire un “dopo”…ma un saggio e spaventoso albero aiuterà il protagonista a trovare le giuste parole e i giusti pensieri proprio per il suo dopo…

“Ti ricordi ancora” di Zoran Drvenkar e Tutta Bauer edito da Terre di mezzo

Un albo illustrato in cui due donne raccontano la loro amicizia fatta di storie incredibili, avventure e di perdite. Non parla di bambini ma la sua particolarità sta proprio nel raccontare, nella quotidianità, il trascorrere della vita. È un albo poetico e pratico allo stesso tempo che aiuta anche a capire lo scorrere normale della vita, le situazioni che accadono e che non vanno nascoste.

La conclusione la lascio agli autori di “Tabù” perchè non saprei proprio scegliere parole migliori di queste:

“Leggete queste pagine come un allenamento in grado di potenziare la vostra muscolatura emotiva, per essere pronti quando i vostri figli vi chiameranno per affrontare le loro paure e per rispondere alle domande che portano nel cuore”.

Storie per raccontarsi

 

Albi illustrati
albi illustrati

I libri hanno sempre fatto parte della mia vita, sono una lettrice accanita e adoro spaziare fra moltissimi generi diversi, ma soprattutto adoro il senso di piacevolezza che ho dopo la lettura, come adoro l’attesa del momento della giornata che potrò dedicare al mio libro del momento. Quando ho iniziato a lavorare nel mondo della psichiatria adulti ho trovato alcuni progetti legati alla scrittura e alla lettura, ma mi sembrava che a tutti mancasse qualcosa… mancasse la parte emotiva, che fossero un insieme di lezioni frontali che non andassero però a toccare la persona nella sua interezza e nemmeno la storia narrata nella sua profondità, ma che fosse un oggetto al pari di un tavolo o una sedia.

Quando ho iniziato a lavorare con bambini e ragazzi ho cercato di studiare ed informarmi il più possibile su teoria e pratica della letteratura per non vederla solo come un esercizio strumentale o come un esercizio di comprensione, ma perchè la lettura potesse avere un impatto riabilitativo e di salute mentale intesa come benessere personale.

Ma andiamo con ordine, perchè le storie iniziano sempre con un bell’incipit!

Cosa intendiamo per albi e libri per bambini?

Un albo è un libro illustrato, di non molte pagine di formato variabile, con parole semplici, frasi concise, concetti chiaramente espressi e facilmente comprensibili adatto per suscitare interesse e curiosità  ( A. Rauch, Ad occhi aperti- Donzelli ed.).

Partiamo proprio da questa semplice quanto profonda definizione: l’albo ha al suo interno immagini e parole e l’obiettivo finale è quello di suscitare curiosità ed interesse. Da qui partiamo per capire come  un albo  illustrato sia utile per il nostro lavoro riabilitativo.

Ciò che proponiamo a bambini e ragazzi ha sempre l’obiettivo di migliorare, abilitare, riabilitare e aumentare il senso di efficacia personale grazie all’acquisizione di nuove abilità.

Queste abilità da acquisire necessitano però di una curiosità di base che permetta al bambino e ragazzo di muoversi verso quell’obiettivo per non perdere la fiducia durante il progetto, la curiosità stimola la motivazione, e l’albo può essere uno strumento davvero importante per  iniziare un rapporto terapeutico e anche per mantenerlo vivo durante il suo svolgimento.

Un primo approccio è proprio quello della  curiosità, scegliere un albo che possa far dire al bambino o al ragazzo: “cosa succede in questa storia? cosa succede a questo personaggio?”

Alcuni titoli che possono essere considerati alimentatori di curiosità sono:

“Una storia molto in ritardo” di Marianna Coppo;

“Ti cerco, ti trovo” di A. Browne;

la trilogia di Suzy Lee ;

la trilogia di Aaron Becker;

( per gli adolescenti)

“L’albero rosso” di Shaun Tan;

I silent di David Wiesner.

Sono solo alcuni dei titoli che infondono curiosità, stimolano la conoscenza interpersonale e aprono a un dialogo in cui non ci siano solo domande dirette di conoscenza. Certo il bambino o ragazzo deve gradire questa modalità, perchè ricordiamoci sempre che il libro è uno strumento, ma siamo sempre noi “artigiani della mente” a scegliere e condurre lo strumento migliore per la persona che abbiamo davanti.

La lettura di un albo  può avere svariati obiettivi: il primo che abbiamo già visto è quello di conoscenza, di relazione, di partecipazione. Questo obiettivo è il primo da raggiungere ma anche quello che non deve mai mancare quando si affronta la lettura di un albo; dobbiamo sempre entrare in relazione con il bambino o il ragazzo, dobbiamo stimolarlo verso nuovi libri o nuove modalità di lettura, anche se ci sarà un obiettivo diverso da quello prettamente relazionale.

COME LEGGERE GLI ALBI ILLUSTRATI

Ilaria Tontardini seleziona alcune modalità di lettura degli albi, la prima sta nelprendere e toccare.

Vi sembrerà una modalità sciocca, scontata, ma pensate ai bambini con difficoltà comportamentali, disregolazoni emotive, oppositivi provocatori, pensate a loro con un libro in mano…. potrebbero romperlo, strapparlo, guardare la copertina e poi gettarlo a terra, agire su questa prima modalità è già iniziare  un intervento riabilitativo.

Possiamo darci come obiettivo primario il controllo dell’impulsività e a seguire l’autoregolazione dei comportamenti, la presa di coscienza dei tempi…e ancora una volta, la relazione. Quella relazione che si instaura fra noi e il bambino e che aiuta a non voltare in fretta le pagine, a creare la giusta attesa fra una pagina e l’altra, il prendersi cura di un oggetto che contiene al suo interno una storia. Alcuni libri possono risultare  anche abbastanza delicati per via di alcune pagine intagliate, ad esempio “Un giorno nella vita di Dorotea Sgrunf” edito da Lupo Guido, ha pagine che creano scenari intagliati, perché i bambini possano toccare e sfogliare queste pagine devono porre attenzione sui gesti, inibendo quello che solitamente è un gesto impulsivo.

Mentre lavoriamo su tutti questi obiettivi, stiamo impregnando questi gesti di una relazione di fiducia, di una capacità di attesa e di rispetto e questo si unisce al secondo gesto che è quello dello sfogliare, non solo inteso come gesto fisico ma proprio come desiderio di procedere nella storia. Alcuni albi hanno già al loro interno domande che invogliano i bambini ad andare avanti, e spingono la loro curiosità nel cercare qualcosa di nuovo, nel cercare le risposte.

Pensate solo a questi 3 gesti apparentemente semplicissimi, pensate a quanti sistemi neurobiologici avete toccato, ve ne scrivo alcuni giusto per farvi capire l’importanza della lettura: relazione, inibizione, attenzione condivisa, attenzione sostenuta, allerta, attenzione selettiva, autoregolazione, manualità.

Ognuna di questa viene incentivata sempre grazie alla nostra presenza, alle parole o alla posizione con la quale leggiamo. pensate proprio all’importanza del “come” leggere insieme: mi metto di fronte, a fianco, il libro davanti a me, il libro in mezzo fra i due, il libro lo tengo solo io o anche il ragazzo… ognuno di queste scelte può essere corretta a seconda dell’obiettivo finale. Ad esempio se voglio allenare l’attenzione sostenuta, terrò io il libro e sfoglierò le pagine con la mia velocità, se voglio creare uno scambio, potrei tenere io in mano il libro e l’altro sfoglia le pagine.

Ora veniamo alla modalità di lettura, perchè ogni volta che un bambino o un ragazzo vedrà un libro vi chiederà se deve leggerlo! Sì lo deve leggere ma, guardando le immagini. Una cara amica esperta di arte mi faceva ragionare su quanto le immagini siano state per secoli libri da leggere ( per esempio la Sappella degli Scrovegni, la Basilica di Assisi, la Cappella Sistina…tutte storie che si leggono guardandole) e spesso noi sottovalutiamo la potenza dell’immagine. I ragazzi pre adolescenti o adolescenti possono trovarsi inibiti davanti a un libro illustrato, potrebbero considerarlo da bambino, oppure potrebbero restarne meravigliati se li accompagnano nella lettura rendendo quella storia vicino a loro. Ho provato questa modalità sia con “L’albero rosso” di Shaun Tan che con “un bacio e addio” di Jimmy Liao, due albi potentissimi, carichi visivamente ed emotivamente.

Chiedere al bambino o al ragazzo di guardare un immagine significa percepire il contesto, il personaggio, le emozioni che prova attraverso l’osservazione attenta delle espressioni del volto o della postura, i colori dell’immagine ci rimandano a una sensazione, un’emozione che va tradotta in parole. Non è forse questa la psicoeducazione? Non stiamo forse parlando di trovare le giuste parole per parlare di ciò che provo, di dare ad ogni sfumatura emotiva le giuste parole perchè anche l’altro possa capirle?

Arriviamo così alla modalità del “raccontarsi” partiamo da una storia, l’abbiamo letta insieme e come terminiamo la lettura con il nostro bambino o ragazzo? Chiudiamo il libro e gli diciamo “bravo”? No, restiamo con il libro aperto e cogliamo un aspetto che lo ha colpito per parlare di questo e per parlare di lui con lui.

L’albero rosso di Shaun Tan

Un racconto nasce sempre per narrare una storia, anche se breve e semplice, ma una storia, e anche i bambini e ragazzi che seguiamo hanno una storia: possono raccontare di quando si sono sentiti felici o spaventati, di quando anche a loro un amico ha fatto uno sgarbo, di quando non hanno capito qualcosa che stava succedendo, di quando hanno avuto bisogno di un aiuto o di quando volevano starsene da soli… raccontarsi è fondamentale per autodeterminarsi, per creare la propria storia, per mettere in ordine gli avvenimenti della propria storia, che seppur piccola ha bisogno di essere raccontata.

Possiamo avere  anche obiettivi più precisi, durante la lettura o quando scegliamo un libro da proporre, che rientrano nel programma riabilitativocome il potenziamento attentivo, cognitivo, la capacità relazionale, il problem solving…

Ed è proprio su questo ultimo punto che vi suggerisco alcuni albi davvero belli che creano e fanno nascere riflessioni sull’importanza del sapere risolvere e gestire un problema ma anche sulla capacità di ipotizzare ciò che succederà. ( vi avverto che alcuni sono difficili da reperire ma in una biblioteca ben fornita o su siti di libri usati, potete ancora trovarli)

“ Indovina che cosa succede” di G. Muller, Babalibri

“ Il libro rosso” di Barbara Lehman

“ Tortintavola” di Thé Tjong- Khing

“ Mr. Ubick” di David Wiesner

Sono pochissimi libri confronto ai molti in circolazione, ( al termine della newsletter troverete alcuni link preziosissimi per avere idee e titoli), ma l’idea che lega tutti questi libri è nella domanda “cosa accadrà dopo?”. Molti dei ragazzi che seguo hanno grandi difficoltà a farsi questa domanda e agiscono d’impulso nella loro vita quotidiana, nel porre questa domanda durante la lettura e nel riprenderla nelle attività successive, aiutiamo i ragazzi ad interiorizzare una domanda che è fondamentale per ogni scelta e comportamento che si mette in atto quotidianamente.

Non posso scrivervi tutti gli albi di valore che ci sono in commercio, tutti quelli che hanno al loro interno la bellezza, la potenza delle immagini, ma posso darvi alcune indicazioni su ciò che dovete ricercare e farvi aiutare da bravi librai e bibliotecari.

Cercate dei libri belli: non semplici, non facili, non corti,  belli.

I bambini e i ragazzi devono essere abituati ad immagini belle, devono essere abituati a soffermarsi sui dettagli, sulle sfumature, devono essere incuriositi dai cambiamenti fra una pagina e l’altra.

Gli obiettivi di cui vi ho parlato fino ad ora, devono essere presenti in tutte le letture perché l’approccio all’albo non sia un esercizio di meccanica lettura e nemmeno un momento di inquisizione in cui si fanno mille domande senza ascoltare o porre attenzione a ciò che ci vuole comunicare il bambino o  il ragazzo.

Fra tutti libri citati fino ad ora trovate moltissimi Silent Book, libri senza parole, dove l’attenzione alle immagini crea la storia; sono i miei libri preferiti in assoluto perchè aprono mondi di parole e di vissuti in modo del tutto inaspettato…magari di loro vi parlerò la prossima volta..

Albi illustrati: Becker, Wiesner, Hauptman