“Imperfetta” la storia di un corpo

Ci sono albi illustrati le cui immagine richiamano un immaginario infantile, albi illustrati le cui parole richiamano favole antiche, e albi illustrati in cui immagini e parole fanno vivere una storia che spesso è la storia di quasi tutti. Una storia “imperfetta”, la storia di un corpo, e di come subisce ciò che lo circonda.

LA STORIA NARRATA…E QUELLA VISSUTA

Questo albo illustrato è tratto da una storia vera, la storia della nascita di questo libro la potete trovare raccontata da Stefania Ciocca  a questo link. Per questo non mi soffermerò molto sulla trama, ma vorrei narrare la storia proprio partendo dalle immagini e dalle parole dell’albo. Il racconto di questa storia è autobiografico ma racconta anche la storia di quelle volte che ci siamo sentiti e sentite imperfettǝ, di quella volta che abbiamo sentito il desiderio di cambiarci, di quella volta che abbiamo visto un bambino o una bambina, guardarsi allo specchio senza piacersi perchè non uguale a qualcun altro, racconta di tutte le volte che ci siamo chiestǝ se avesse un senso modificare parti del nostro corpo… e se pensiamo di non aver mai avuto questi momenti: l’albo ci ricorda di quella volta che abbiamo provato tutto questo senza che ce ne accorgessimo.  

salute e bellezza

La storia inizia sin dalle prime pagine parlando del concetto di salute e di bellezza. Torniamo a un tema a me caro soprattutto negli ultimi anni, sul fatto che tendiamo a vedere come “sano” ciò che è anche esteticamente bello ( che poi ce lo portiamo avanti dall’antica Grecia, ma andiamo avanti…). I protagonisti del libro sono un’artista e un chirurgo plastico, e per l’artista era impensabile operare qualcosa di sano perchè diventi anche bello. 

Quante volte però anche noi scegliamo scelte belle, e intacchiamo ciò che c’è di sano? Mi vengono in mente i buchi alle orecchie, che appartengono da millenni alle culture umane ma che non hanno un senso di salute, anzi sono un foro nelle nostre orecchie, ma diventano per noi un valore personale e sociale. Solo su questa prima parte potrei scrivere pagine e pagine di riflessioni ma cercherò di concentrarmi solo su una riflessione: chi e cosa stabilisce ciò che è sano e ciò che è bello? 

La salute viene definita da standard clinici ma anche dalla percezione personalemi sento bene…mi sento forte… mi sento capace di affrontare questa cosa...”. La bellezza viene definita dallo sguardo di ognuno, ma anche dalla società “mi piace questo… ho visto la pubblicità di quello e lo devo avere!… questo vestito proprio non si può vedere, era scritto anche sul tal giornale…“. Quello che però unisce tutto è ciò che sceglie la persona, quanto riusciamo a esprimere e a capire cosa per noi è davvero bello e cosa scegliamo per il nostro corpo, in una parola: autodeterminazione. Questo deve iniziare sin da bambini, trovate un approfondimento qui .

la bellezza, il corpo e il pregiudizio 

Dave e Andrea, sono innamorati e si scambiano cartoline sulle loro giornate. Nelle aspettative di Andrea, l’artista, le giornate di Dave erano costellate di persone che volevano modificare il proprio corpo per apparire migliori, più bellǝ  , ma si accorge che Dave dona nuove possibilità.  Dona ai corpi delle persone la possibilità di sentirsi a proprio agio, di riacquistare parti di pelle che si erano rotte o ustionate.

Andrea ci mostra il pregiudizio ma anche la capacità di mettersi in ascolto, di andare oltre.  Sin da piccoli interiorizziamo i concetti di bellezza, cerchiamo di rappresentarli in pieno: il modo in cui vestirci, quanto essere forti, come avere i capelli… sono tutti interiorizzazioni di ciò che la società definisce bello e in questo albo Andrea si chiede davvero quanto costa raggiungere la bellezza.

la bellezza e il giudizio 
 

Una frase semplice che forse abbiamo pronunciato più e più volte nella nostra vita “temeva che lo avrebbero preso in giro…” . Dave racconta di come una mamma ha chiesto di operare il proprio figlio per paura delle derisioni che avrebbero potuto esserci in futuro. Queste frasi risvegliano in noi adulti la paura del nostro passato in cui magari siamo stati derisi, offesi, picchiati, allontanati, lasciati da soli, incompresi… e tutte queste emozioni ci fanno paura perchè tornano e tornano le sensazioni corporee che queste emozioni ci hanno lasciato.
Andrea rivive in prima persona il suo passato in cui aveva iniziato a pensare di modificare il proprio corpo perchè non magro, perchè il naso era grosso, perchè il suo corpo “mi pareva informe e sgraziato… ero imbarazzata. Mi sentivo strana.” Pensa a come per tutti la scuola fosse un inferno tranne per l’unica ragazza che rispettava tutti i canoni di bellezza: il corpo era della dimensione giusta, i capelli perfetti, i vestiti alla moda. Per poter accompagnare bambini e bambine a sviluppare un’immagine corporea positiva, dobbiamo partire dagli adulti e dalle frasi, emozioni e sensazioni che hanno vissuto loro in prima persona, aiutarli a comprendere per poter modificare ciò che possono fare oggi. Per questo è nato il progetto “C’era una forma…” potete cliccare qui per saperne di più. 
decidere di essere imperfetta 

Andrea sceglie di restare “imperfetta“, ma la parte più interessante è la descrizione della sua fatica. Sì, proprio la fatica, scegliere di non cambiare, di stare in un luogo in cui si viene giudicati per come è il proprio corpo, è una scelta faticosa che richiede tempo per pensare alle conseguenze, al proprio sentire, a ciò che comporta quella decisione. Non è vero e nemmeno realistico usare frasi come “fregatene…non ci pensare… pensa con la tua testa” perchè non viviamo soli e nemmeno in un mondo perfetto.

Quello che possiamo fare sin da piccoli è lavorare sul come poter reagire ad alcuni eventi, alcune parole, alcune situazioni che possono accadere realmente. Costruire non solo una serie di risposte verbali da poter utilizzare, ma un vocabolario emotivo da sperimentare e su cui potersi sintonizzare.

la mia storia è la storia anche del mio corpo

Andrea spiega la sua storia in queste pagine . Lo spiega senza retorica, ci mette fatica, contraddizioni, pensieri, emozioni e comportamenti. Racconta la sua storia di bambina quando ormai è adulta, ma sarebbe bellissimo poter aiutare in quella fatica i bambini e le bambine che ora si sentono così, che ora sentono quel giudizio e quella fatica per accompagnarli e comprendere se le imperfezioni che vedono, lo sono davvero e possono conviverci e se non possono, aiutarli a capire il perchè.

Mappe delle mie emozioni

e perchè esplorare le emozioni è il modo migliore per conoscerle…

Le emozioni non si insegnano, si vivono, si affrontano, si scoprono, si parlano, si esplorano. Per questo motivo uno dei miei albi preferiti per parlare di emozioni è questo: “La mappa delle mie emozioni” di Bimba Landmann edito da Camelozampa  puoi trovarlo qui! 

Questo albo è un ottimo esempio di come le emozioni siano sfumature in cui le terre esplorate diventino così simili e così diverse. Abbiamo la terra della speranza in cui troviamo la “strada che guarda lontano” e il “piccolo lago delle idee”. Una terra in cui ritroviamo immagini e parole che spesso vengono utilizzate quando si parla di psicoeducazione alle emozioni, parole che bambini e ragazzi riportano spesso nelle loro narrazioni, ma che altrettanto spesso vengono poco ascoltate e giudicate come parole da sognatori. Quasi che quelle parole non fossero reali emozioni.

Le terre della paura, sono tinte di giallo e raccolgono il batticuore, il terrore, il castello pallido e la strada senza via d’uscita. Quante di queste parole vengono usate da bambini e ragazzi quando parlano delle  loro paure: paure del futuro, della scuola, nelle relazioni. L’immagine delle terre in cui viaggiare ci permette di aprire un punto importante delle emozioni e della psicoeducazione: non esiste una scala gerarchica che va in un’unica direzione, ma c’è una esplorazione che ci permette di conoscere e sperimentare gradi diversi in momenti diversi, delle nostre emozioni.

Questo albo racconta mille storie diverse, racconta storie lunghissime in cui  il disgusto diventa inaccettabile, e storie di pochi secondi in cui il Mare Esultanza, diventa l’unico orizzonte che abbiamo.

Questo albo può essere una mappa preziosa per iniziare un percorso di psicoeducazione emotiva; uno strumento in cui rispecchiarsi o da cui prendere parole nuove, un disegno in cui rispecchiarsi, ma anche una partenza per scrivere la propria mappa delle emozioni.

Spesso mostro queste immagini a bambini e ragazzi dicendo loro “da che punto della mappa vorresti partire?” e già da questa scelta mi accorgo cosa preme di più a loro, in quel momento e, cosa vogliono evitare.

Certo non basta un libro e poche chiacchiere, oltre al primo passaggio ci vuole conoscenza e professionalità, occorre un professionista che conosce queste terre, che le ha esplorate a sua volta e che riesca a guidare i nuovi esploratori spesso spaventati o incuriositi.

quando si possono esplorare le emozioni, e quando è necessario farlo

In ogni momento è possibile fare un intervento psicoeducativo mirato, ma ci sono momenti in cui è più importante, momenti in cui è fondamentale.

Pensiamo a un bambino o una bambina che fatica a stare con i compagnǝ perchè si sente spaventata o non compresa, sarà importante capire e dare le giuste parole a quella sensazione. Altri potrebbero avere difficoltà nel rapporto con il loro corpo, ma se non riescono a trovare la giusta descrizione per quello che sentono e  rischiano di trovare, come unica strategia, comportamenti negativi che possono peggiorare il loro benessere mentale e anche fisico.

Se unǝ bambinǝ o unǝ  ragazzǝ faticano a restare attenti, ma non conoscono cosa sia e che nome abbia quella sensazione che li prende ogni volta che a scuola vengono rimproverati per questo, non potranno migliorare le loro capacità attentive, perchè non riusciranno a condividere ciò che sentono e a cosa è collegato.   

Per questi e molti altri motivi ho scelto di parlare di psicoeducazione emotiva in un webinar che potete trovare  a questa pagina. 

Esplorare assieme a bambini ragazzi le emozioni è un viaggio entusiasmante ma anche delicato, per questo non possiamo lasciare nulla al caso.

Parlare di corpi significa vederli

“Love your body” di Jessica Sanders e illustrato da Carol Rossetti

Quando si sente dire o si legge che parlare di corpi è un fattore culturale, spesso si pensa che sia un modo di dire, un pregiudizio, e invece è reale. Quando vi parlo di libri che parlano di corpi, di illustrazioni in cui vengano mostrati corpi diversi, devo sempre mostrarvi libri stranieri. Cerchiamo di non vedere l’aspetto linguistico come un ostacolo, ma iniziamo a guardare questo albo…

introduzione: inclusività già dall’inizio

Nelle note dell’autore troviamo già un’attenzione incredibile (mia traduzione personale):

“Questo libro è stato scritto per le ragazze e per chi si identifica come una ragazza. In ogni modo, il linguaggio che ho usato non è legato al genere ed è universale. Gli effetti di un’immagine corporea negativa, riguarda tutti, non riguarda un solo genere, etnia o orientamento sessuale”

Questa introduzione ci rimanda ai principi di uguaglianza, di inclusività e di ascolto rispetto alla persona che abbiamo davanti. Nelle prime pagine dell’albo trovate immagini di tanti corpi diversi, tutte che mostrano il loro corpo per quello che è: un corpo. Un corpo da accettare, un corpo che è in uno spazio.

il corpo e lo spazio

Spesso parliamo di cambiamenti del proprio corpo, di un corpo che cresce ma mai di un corpo che occupa spazio. In questo albo troviamo proprio la parola “spazio”.

Il tuo corpo cambierà internamente ed esternamente. Il tuo corpo diventare più grande, e questo significa che prenderà più spazio, e questo va bene!

Parlare di spazio è importante perché è una sensazione reale, concreta e costante. Quando ci sediamo sentiamo il nostro corpo occupare la sedia, quando camminano per una via affollata sentiamo il nostro corpo occupare uno spazio, prendere contro ad altri corpi, quando non troviamo un posto per sederci, vediamo lo spazio che manca o cerchiamo di capire se in uno spazio ristretto il nostro corpo può sedersi.

Nei disturbi del comportamento alimentare, uno degli aspetti rilevanti legati all’immagine corporea è proprio quello della percezione tattile legata alla percezione del corpo propello spazio. Da una parte c’è una componete percettiva significativa, dall’altro c’è l’idea costante che occupare spazio sia un male. Che occupare spazio sia un problema, anche perchè spesso non tutti gli spazi sono adatti a tutti i tipi di corpi. In questo contesto parlare di spazio significa fare prevenzione e legittimare ogni corpo ad occupare il proprio spazio.

Qui un articolo scientifico a riguardo: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0165178111003623

cosa posso fare..non solo ciò che vedo

In molte pagine viene mostrato quello che può fare un corpo: abbracciare, ascoltare la musica, fare sport, annusare, leggere… tutte cose che il nostro corpo fa indipendentemente dalla sua forma e dimensione.

C’è un ampio spazio dedicato anche a gesti, pratiche, pensieri che possono aiutare ad aver un approccio di gratitudine verso il proprio corpo.

Ringraziare e non giudicare

Ringraziare il proprio corpo e non usare parole giudicanti è un aspetto importantissimo di prevenzione. Il modo in cui dialoghiamo internamente con il nostro corpo forma i nostri pensieri e le nostre emozioni e sensazioni. Avere libri che possono dare aiuti concreti sulle parole, sulle azioni e sui comportamenti possibili da utilizzare è uno strumento di grande importanza… e capace di cambiare la vita di bambini e bambine.

ciò di cui il mio corpo ha bisogno

Nell’albo c’è ampio spazio anche per l’idea del riposo, del sentire i propri bisogni, sentire il proprio corpo e dare al proprio corpo il tempo del riposo. Quanto è importante nella nostra società performativa, dire che il nostro corpo ha bisogno di riposo, di fare attività piacevoli, di essere ascoltato.

Anche questo aspetto è un importante aspetto di prevenzione: nessun perfezionismo ma tanto ascolto e la possibilità di scegliere di fermarsi. Questo aspetto spesso viene sottovalutato, si pensa che bambinǝ e ragazzǝ non siano mai stanchǝ, invece dare loro il tempo di capire ciò che il corpo chiede è un aspetto di estrema importanza, anche per imparare ad ascoltarsi aiuta ad avere pensieri gentili ed evita i pensieri estremi.

chiedere aiuto..anche prima che serva

L’importanza di chiedere aiuto anche prima che ci siano segni visibili che possano essere definiti sintomi (manifestazione di un disagio o di una malattia), chiedere aiuto per comprendere le modalità e strategie che si mettono in atto quando si pensa il proprio corpo, Capire quali sono gli aspetti sociali che influiscono sulle nostre idee e percezioni.

Tutto questo è prevenzione.

Trovi molti articoli a riguardo qui https://www.serenaneri.it/category/prevenzione/

nessuna pianura, solo montagne

Alla fine il libro non ci propone false realtà, aspettative non realistiche, ma ci propone una montagna. Come in montagna la visione e percezione del nostro corpo cambia: può essere faticosa, può essere soddisfacente, può essere stabile e piatta o cambiare rapidamente. Può darci le vertigini e farci soffrire, o può permetterci di riposare… tutto questo è normale.

Spiegare la normalità di questi alti e bassi, previene che ci si spaventi nel viverli, previene che ci si senta impreparati quando si sentono.

Parleremo di questo albo, di altri albi illustrati e di corpi nel progetto

“C’era una forma… come parlare di corpi a bambinǝ e ragazzǝ” trovate il dettaglio qui https://www.serenaneri.it/cera-una-forma-una-newsletter-per-parlare-di-corpi-con-bambini-e-ragazzi/

Normale e complicato: le storie dei lutti

Ogni volta che pensiamo al lutto, pensiamo subito alla morte delle persone, pensiamo che si possa provare solo per altri il sentimento angosciante del lutto. “Normale e complicato” le storie dei lutti…

“Normale e complicato” di Sara Ancois

Si pensa anche che i bambini e i ragazzi non possano sentire realmente un lutto “ lo prenderanno come un momento, cosa vuoi che cambi per loro…” o che non possano capire, e quindi ,invece di ascoltarli, inventiamo noi le storie per il loro dolore.

“Normale e complicato” con quella e che unisce e che non decide nulla, senza quell’accento che gli dà peso, che vuole farlo esistere, ma una piccola e che unisce la normalità alle cose complicate. Questo albo unisce il dolore e il tempo che ne occorre, la capacità di sentire il dolore e provare a lavorare assieme a lui, ma anche l’idea di lasciarlo da solo.

lutto non è solo in caso di morte… è normale e complicato
normale e complicato: le storie dei lutti

Il lutto può essere anche la perdita di un ruolo sociale che avevo, pensiamo ai ragazzi che cambiano scuola, compagnia di amici, o si trovano in situazioni famigliari che cambiano in modo rapido e imprevisto. Il lutto può essere il venire a conoscenza di avere una malattia, non solo fisica, ma anche mentale.

Pensate che sia semplice accettare che ho un disturbo dell’apprendimento, o un disturbo alimentare, o un disturbo mentale? Non lo è, perché il lutto che vediamo in queste pagine riprende il tema dello specchio in cui non mi riconosco, ma in cui vedo chi sono ora. Mi piace questa immagine dello specchio, in cui la persona che si faccia alla superficie illuminata crede di essere in un certo modo, pensa ai propri tratti del viso, la propria statura, la forma del proprio fisico; ma quando vede la propria immagine riflessa, vede il suo lutto, vede la sua trasformazione ingarbugliata e sconosciuta.

un albo per molte interpretazioni

Questo albo illustrato lascia aperte molte interpretazioni, ed è uno dei motivi per cui mi piace moltissimo, un albo che parla di utile e di inutile, di pesante e leggero, che raffigura un uomo nero pesante e una piuma colorata, leggera. Il peso di una scelta, la leggerezza del cambiamento, il peso del cambiamento e la leggerezza di poter scegliere.  Su questo mi vengono  in mente i tanti ragazzi che per anni hanno pensato di scegliere quella scuola, quel lavoro, quella relazione, e invece si trovano a fare i conti con ciò che sono realmente diventati, e vivono il lutto di vedersi cambiati o di dover cambiare il proprio bagaglio personale.

Questo albo creato con poche parole e tratti decisi, è frutto di un lavoro di relazioni terapeutiche della dottoressa Sara Ancois ( qui trovate una sua intervista https://metismagazine.com/2022/08/05/intervista-a-sara-ancois-autrice-di-normale-e-complicato-ovvero-come-la-mente-ci-protegge-dagli-effetti-del-dolore/ ) che mostra il lutto come relazione di scambio e non come esperienza solitaria. La nostra società è ancora piena di stereotipi per cui il dolore è negativo, devi gestirlo da solo e in fretta. Abbiamo bisogno di albi come questo che parlano a molti, parlano delle parole che il lutto può aiutare a dire, al modo in cui possiamo ma non dobbiamo, sentirci. 

Il lutto è un processo in cui gli strumenti (occhiali, scarpe, Sacchi…) hanno valore per un breve tempo, ma poi diventano pesanti e difficili da pensare in modo distante da me. 

Il lutto è normale, e certamente complicato, il lutto unisce con una E e non deve diventare una persona   con una “è”.

La mia ferita cambia forma 

oggi 

somiglia all’ago di una bussola

“Grande panda e piccolo drago”… e i pensieri disfunzionali

I pensieri sono per loro natura astratti, non concreti e questo rende la loro spiegazione difficile; per questo ho trovato nell’albo “Grande Panda e piccolo Drago” edito da Rizzoli, possa essere un aiuto concreto per capire i pensieri disfunzionali.

cosa sono i pensieri disfunzionali
Grande Panda e piccolo drago… e i pensieri disfunzionali

I pensieri disfunzionali sono stati spiegati per la prima volta da Albert Ellis, fondatore della REBT (terapia comportamentale razionale emotiva), percorso che si può riassumere in questi punti:

  • le nostre emozioni derivano dai nostri pensieri;
  • i pensieri disfunzionali, cioè che non raggiungono l’obiettivo di benessere mentale personale, possono portare a difficoltà emotive e comportamentali;
  • queste difficoltà possono essere superate conoscendo per poi cambiare i pensieri irrazionali con pensieri razionalie quindi funzionali all’obiettivo della salute mentale

Spesso i ragazzi si accorgono di avere pensieri fastidiosi e che provocano comportamenti che possono essere considerati non adeguati o comunque diversi rispetto a comportamenti avuti prima (prima uscivo e ora invece mi sento giudicato, prima facevo sport e adesso penso che tutto vada male e non riesco a farlo). Spiegare questi tipi di pensieri è il primo passo degli interventi di psicoeducazione, ne avevo parlato qui https://www.serenaneri.it/psicoeducazione-strumento-di-prevenzione/

Questo aspetto è fondamentale per prevenire disturbi di ansia, depressivi, disturbi del comportamento alimentare e in generale per un maggior benessere della persona. Comprendere questi pensieri ci permette di poter sentire meglio le emozioni provate, e quindi di attuare comportamenti adeguati, efficaci e che tendono al benessere.

la fatica del rendere visibili i pensieri

Spesso la grande difficoltà è rendere un pensiero concreto, trovare le parole giuste per descriverlo. Ancora un volta gli albi illustrati sono tornati in mio aiuto e soprattutto questo albo che è diviso in tavole singole, in cui la storia è rappresentate dall’insieme di momenti che accadono durante un anno. Le immagini accompagnate da brevi frasi, aiutano a creare nuove immagini e a legarle a propri eventi della vita.

“Prestare attenzione” è una frase che bambini e ragazzi si sentono dire spesso, ma come si fa in pratica a prestare attenzione? Sicuramente l’immagine in cui Piccolo Drago va a sbattere contro Grande Panda, rende decisamente meglio l’idea!

Da qui possono nascere altre ricordi di situazioni simili o di situazioni ipotetiche in cui occorre “prestare attenzione”.

Torniamo ai pensieri disfunzionali e conosciamone qualcuno.

pensiero catastrofico: andrà tutto malissimo!

Quante volte chiamiamo questi pensieri come pessimismo, vedere il bicchiere mezzo vuoto, realismo perchè davvero tutto va male. Ma collegate questa frase all’immagine seguente…

Forse non è più così reale che tutto vada male, che tutto sia negativo, forse il pensiero dovrebbe essere più ampio e vedere tutto ciò che sta davanti a noi.

Usare queste immagini ci permette di lavorare sia a livello relazionale ( i ragazzi e le ragazze a cui le ho proposte sono rimasti e rimaste, entusiasti!), sia stimolando il pensiero ipotetico che permette una maggiore flessibilità cognitiva. Partiamo dal pensiero scorretto, cerchiamo di trovarlo nella nostra realtà quotidiana, proviamo a correggerlo usando parole nuove e usiamo questa correzione ogni volta che sentiamo tornare il pensiero per cui “tutto va malissimo!”.

svalutare il positivo

Spesso gli obblighi sociali e morali, il bisogno di emergere e di avere determinate performance, ci porta a pensare che “non sono abbastanza bravə” . In modo semplice e diretto questa immagine ci può aiutare a comprendere e correggere il nostro pensiero. Penso di non essere abbastanza bravə, e ciò accade spesso quando utilizzo come metro il giudizio degli altri, mi confronto e perdo l’obiettivo finale …fiorire.

letTURA DEL PENSIERO

“Se faccio pensieri brutti sono una brutta persona?” disse Piccolo Drago “No” disse grande Panda “le onde non sono l’oceano e i pensieri non sono la mente”

Spesso un singolo pensiero occupa tutta la nostra mente, utilizza le nostre forze e ci limita nelle nostre azioni. La lettura del pensiero intende proprio soffermarsi su quanto diamo per scontato di sapere ciò che pensano gli altri, quanto ci concentriamo su un singolo pensiero e perdiamo la complessità di ciò che ci circonda.

devo e dovrei

Spesso le frasi che diciamo a noi stessi includono un dovere: un dover fare delle cose, dover essere in un certo modo, dover pensare alcune idee precise.

Quei “devo” che diventano pensieri limitanti che ci portano lontano dal momento presente e dalla presenza nel qui e ora. Partire da ciò che stiamo vivendo, dovrebbe aiutarci a togliere qualche obbligo mentale e a cambiare il dovere in una possibilità.

Potete approfondire il tema qui https://www.stefaniaciocca.it/2022/05/15/mindfulness-e-albi-illustrati-ep-3/ , Stefania Ciocca usando questo albo in modo mindfulness.

Una singola immagine può avere una potenza incredibile. Una singola immagine può aiutarci a concretizzare pensieri, emozioni e sensazioni. Una singola immagine può aiutare a raccontare la nostra storia o la storia della persona che abbiamo davanti

Spero vogliate prendere questo libro, scoprire la vostra immagine e dare forma concreta al vostro pensiero.

La vera storia della strega cattiva: pregiudizi e realtà

In ogni società, in ogni luogo, in ogni storia c’è una strega cattiva. Una strega contro cui tutti puntano il dito, una strega su cui ricadono tutte le colpe. In ogni storia esistono pregiudizi e realtà, in questa storia andiamo a presentare la vera storia di ogni strega cattiva.

Avevo già parlato di questo albo su Instagram ( https://www.instagram.com/p/CdAk1AFsIdZ/?utm_source=ig_web_copy_link ) ma qui vorrei soffermarmi sul perché è utile leggerlo assieme a bambini e adolescenti e perché poterlo fare per la salute mentale.


la vera storia e il giudizio nella storia

“A chi non scaccia nel bosco la strega che è dentro di noi ma ha il coraggio di conoscerla e addomesticarla” L.T

L’albo inizia come la più classica delle fiabe “Qualche tempo fa, in un paese lontano, era nata una bambina“. Una descrizione, oggettiva, reale a cui segue subito un giudizio terribile “era nata brutta, tanto brutta[…] la mamma e il papà ne erano addolorati. Si dimenticarono anche di darle il nome“. Sin dall’inizio della storia il giudizio entra nella narrazione e diventa la storia stessa. Il pregiudizio, prende il posto della realtà.

La bambina viene lasciata a se stessa, e quando esce per le strade il nome le viene dato, le viene dato il nome in base alle sue caratteristiche e ai pregiudizi di ognuno: strega.

La vera storia della strega cattiva: pregiudizi e realtà

Venne allontanata dal paese e inizio a credere lei stessa di essere una strega, di meritarsi quel nome, di essere quel nome. Arrivarono nella sua casa in mezzo al bosco, tanti bambini che la Strega prontamente mangiò, perché è quello che la rendeva una strega. Poi arrivarono Hansel e Gretel che la uccisero gettandola in un forno e sconfiggendo la strega cattiva, che era solo una bambina.

Qualche tempo fa, così per caso, era nata una strega. A dir la verità, non lo era ancora Strega, quando era nata. Lo diventò dopo: una vera strega Cattiva. Ma quando era nata, era solo una bambina.”

Le immagini dell’albo accompagnano il lettore in una storia di sfumature, in cui però il pregiudizio, la fretta nel dare un nome a ciò che si vede, cambia la storia.

Pensate se quella bambina invece di essere chiamata “brutta” e “strega” fosse stata curata, vestita, educata, se qualcuno avesse giocato con lei e le avesse dato un nome proprio e non un nome comune che richiama ad un personaggio; non credete che la storia della strega cattiva sarebbe stata diversa?

educare all’osservazione e non al giudizio
La vera storia della strega cattiva: pregiudizi e realtà

Allora proviamo a trovare alcuni spunti di riflessione per capire come il pregiudizio incide sulla realtà.

Il villaggio sceglie per quella bambina la via più semplice del pregiudizio, dell’etichettamento, di mettere una persona dentro a un limite; certo è più semplice, ma non è conveniente. Da quel momento molti bambini che entrano nella foresta vengono mangiati dalla strega, la gente ne ha paura, non si avvicina, cambia le proprie abitudini.

Senza il pregiudizio tutti sarebbero stati meglio.

nella realtà…

Portiamo questo concetto nella nostra quotidianità. Quando penso che una persona “non è normale, è matta, va dallo psicologo o dal terapista perchè ha qualcosa che non va…” la allontano, la trasformo nelle parole che uso per descriverla. Se invece osservo il suo malessere, la sua fatica ad affrontare alcune situazioni, trovo in quella persona la voglia di ascoltarla e di complimentarmi con lei per aver chiesto aiuto.

Se un bambino o una bambina sono definiti “difficili” non osserverò ciò che vivono, come si comportano, non vedrò più loro come persone, ma vedrò la loro etichetta. Un’etichetta così semplice quanto poco realistica.

Fare prevenzione per la salute mentale con bambini e adolescenti, parte proprio dall’uso delle parole giusto, dall’osservazione della realtà, dal sentire ciò che si prova e capire da dove deriva quella sensazione. Fare prevenzione non passa solo per progetti sistematizzati, ma inizia dall’uso delle parole nella quotidianità iniziando proprio da noi adulti e dai pregiudizi e dalle parole che utilizziamo nella nostra comunicazione. Troveremo etichette e giudizi molto più spesso di quel che pensiamo, ma non deve spaventarci, deve invitarci a migliorare il nostro modo di parlare, pensare e rapportarci con gli altri. Significa prendersi cura della nostra strega cattiva e darle la possibilità di prendere un altro nome.

Se iniziamo da queste parole, da queste storie, porteremo tutto il villaggio a non aver paura della strega e a godersi con lei una passeggiata nel bosco

Qui potete leggere l’intervista all’autore https://www.terre.it/interviste/scrittori-illustratori/luca-tortolini-racconta-la-vera-storia-della-strega-cattiva/

C’era una forma: una fiaba per parlare di salute mentale

C’era una volta, edizioni L’Ippocampo

Tutte le fiabe classiche iniziano con “c’era una volta”, ma qui si parte con “c’era una forma”. Ci insegnano le forme quando siamo bambini, impariamo a misurarle, a riempirle, a scoprire quanto misurano intorno, dentro, quanto misurano da un vertice all’altro..ma non ci insegnano a raccontarle. C’era una forma penso possa essere una fiaba per parlare di salute mentale.

C’era una forma è la storia di un regno, tutta scritta come una splendida filastrocca in stile medioevale, in cui  “tutti erano ben sagomati”. Non c’erano forme senza spigoli e spigoli senza caratteristiche.

Il re angoli retti pensieri ristretti”  è colui che governa il regno guardando tutto con la sua forma, e lo stesso fa con i propri figli, che purtroppo…sono tondi.

Si provò a raddrizzarli ma anche a furia di strizzarli, con stampini e con corsetti, rimanevano imperfetti”, la perfezione era un angolo, acuto o ottuso, ma un angolo! Nessun poteva uscire da queste forme, anche a costo di sacrificarne la vita. 

Inaspettatamente arrivò così una “forma solitaria e del tutto straordinaria”, una fata che cambiava colore e poteva aiutare la regina a concepire un figlio con i vertici, ma anche capace di mostrarle che   “dietro forme lambiccate c’erano qualità spiccate!” per ognuno dei suoi figli.

Ma poi questa figlia così perfettamente triangolare scelse un marito così tondo da riuscire a ballare, il re provò a limarlo, tagliarlo, modellarlo…ma tondo era e tondo tornava fino a quando assieme alla principessa  “per un po’ dimenticarono chi denigrava le loro forme non rientrando nelle norme” .

la rigidità

Quanti spunti ci sono in questo albo, c’è la forma della rigidità. La stessa rigidità che spesso accompagna i nostri pensieri, le nostre scelte, le nostre percezioni e convinzioni. Quanto sarebbe importante riuscire a smussare queste rigidità e prendere le decisioni per ciò che sono senza per forza doverle incastrare in mezzo a piccoli vertici che ci impediscono di guardare oltre. 

Penso a questo albo proprio per attività di psicoeducazione all’ansia, per spiegare i pensieri rigidi e disfunzionali, per mostrare quanto ci accaniamo a limare tutto… ma non vediamo altri pensieri molto più funzionali per noi.

la forma e il corpo

Il guardare la forma degli altri, il corpo degli altri, la forma dei loro vestiti, dei loro accessori, notare se hanno spigoli o curve. Un albo preziosissimo per riflettere sulle forme, su quanta importanza ne diamo se ci troviamo all’interno di un regno in cui la forma è tutto. La curva vista come semplicemente una forma, un altro tipo di forma ma non un errore; una figura con più linee diverse vista per ciò che è e per ciò che può dare, non come un’imperfezione.

Questo albo potrebbe essere davvero uno spunto perfetto per parlare di società grassofobica, di perfezionismo e di come i nostri pensieri sono influenzati dal luogo e da ciò che viviamo ogni giorno.

normalizzare

Tendiamo sempre a far rientrare tutto in caselle, spigoli, linee, ben definite, a cercare un dentro e un fuori… ma spesso c’è una linea che diventa curva o tratteggiata ma resta sempre se stessa, ciò che è e ciò che potrà diventare.

Penso che questa sia la più bella forma di normalizzazione e la più potente spiegazione di salute mentale che si possa dare.

c’era una forma …

“C’era una forma” è un albo che mi ha subito entusiasmato perchè ne ho visto le sue potenzialità per parlare di salute mentale. Vedo questo albo illustrato fra le mani di adulti, di ragazzi, di bambini, lo vedo nelle mani di professionisti della salute mentale ma anche di persone che vogliono essere accettate per la loro forma e cambiare il regno in cui vivono, non le loro linee.  

Il libro puoi trovarlo qui https://www.ippocampoedizioni.it/libro/9788867226955

Psicoeducazione: strumento di prevenzione

“Funny routines” Head

La psicoeducazione è uno strumento di prevenzione nell’ambito della salute mentale. Sia per riconoscere difficoltà e disturbi sia per prevenire ricadute o difficoltà maggiori che possono presentarsi in futuro.

Fare prevenzione è uno degli aspetti fondamentali del nostro lavoro come professionisti della salute mentale, ne avevo parlato qui https://www.serenaneri.it/salute-mentale-libri-divulgativi-che-parlano-ai-ragazzi/ ed è per questo che ho pensato ad una formazione specifica per professionisti sul tema della psicoeducazione.

che cosa significa psicoeducazione?

La psicoeducazione consiste in più modalità e strumenti che hanno però alcuni obiettivi chiari e comuni durante tutto l’arco di vita:

  1. informare le persone e i famigliari su determinate difficoltà, disturbi, problemi o sul regolare sviluppo emotivo e sociale
  2. Fare prevenzione: evitare sia le ricadute in caso di disturbi conclamati, sia prevenire perchè le persone possano in tempi adeguati, riconoscere determinati problemi (ansia, depressione, attacchi di panico, chiusura sociale, dipendenze…)
  3. Gestire al meglio le ricadute sia nel momento di un’eventuale crisi, sia per capire al meglio quando le crisi potrebbero accadere.

Negli obiettivi stessi di questo strumento ritroviamo proprio il punto centrale dell’articolo: la psicoeducazione è uno strumento di prevenzione.

come si svolge un intervento psicoeducativo?
Emozionario, Nord-Sud edizioni

Esistono vari tipi di percorsi che dipendono anche dall’obiettivo stesso dell’intervento. Esistono interventi specifici per alcuni disturbi del neurosviluppo, come ad esempio interventi specifici per bambini e ragazzi con ADHD o disturbi dell’umore; ed esistono interventi mirati e calibrati sul singolo se non è presente una diagnosi definita, oppure se si lavora in modo preventivo. Gli interventi possono essere svolti in gruppo o in modo individuale. L’aspetto fondamentale è quello per cui il professionista deve conoscere in modo specifico e approfondito l’argomento che andrà a trattare. So che può sembrare una banalità, ma non lo è!

Pensate alla psicoeducazione alle emozioni: se pensiamo che basti spiegare le emozioni di base, incorriamo nel tranello di appiattire ciò che nella realtà è complesso. Un bambino può essere sia triste che arrabbiato, può provare malinconia ma non tristezza. Per questo le sfumature, la modalità con cui le proponiamo e con cui noi per primi le abbiamo sperimentate, fa davvero la differenza.

Potevo non consigliare qualche albo illustratoa riguardo?!?!
“Ci conosciamo” ed. Terre di Mezzo

Molto utile è ad esempio questo albo di Terre di mezzo che vede le emozioni in modo metaforico, le spiega non in modo rigido e poco realistico, ma dà la possibilità ad ognuno di leggere le proprie reazioni, le proprie sensazioni senza giudizio. Ne avevo parlato qui https://www.instagram.com/p/CaMezJ6gmOq/?utm_source=ig_web_copy_link

Molto utile e dettagliato specie per i più grandi è “L’emozionario” edizioni Nord-sud, in cui troverete tutte le sfumature delle emozioni accompagnate a illustrazioni diversissime che possano piacere e quindi possano arrivare in modo diverso ad ogni persona. Anche questo aspetto della psicoeducazione è fondante: ci sono elementi fisici simili in ogni persona, ma poi ci sono elementi di grande cambiamento che dipendono dalla storia personale, dalla propria vita e dai propri valori.

Dobbiamo sempre cercare di personalizzare il più possibile per raggiungere obiettivi che restino nel tempo e capaci di orientare al cambiamento personale.

due webinar di formazione sulla psicoeducazione

Per questo ho pensato di creare due webinar che trattassero questi temi, due incontri pratici e ricchi di spunti da poter utilizzare nella pratica quotidiana! Trovate tutte le informazioni nelle locandine qui sotto.

Raccontare la propria storia

Scritto e illustrato da me di Liniers, Terredimezzo Editore

Raccontare la propria storia, raccontarsi agli altri, è forse la cosa più difficile da fare, specie se si è un bambino.

Di solito chiediamo ai bambini cosa sanno fare o cosa non sanno fare, cosa piace e cosa non piace, ma non chiediamo mai di raccontarci una storia. Magari chiediamo che ci raccontino cosa hanno fatto, ma le loro storie immaginarie, o i loro racconti personali li ascoltiamo davvero?

Quando si lavora assieme ai bambini in un contesto riabilitativo, di cura e di relazione, non possiamo non stare ad ascoltare le loro storie, o meglio è nostro dovere chiedere di raccontarcele, con pazienza, con tempo, con sensibilità soprattutto senza giudizio!

Scritto e illustrato da mehttps://www.terre.it/?s=scritto+e+illustrato+da+me è un ottimo esempio di come nasce una storia, di quante domande la creano e di come l’idea di giusto e sbagliato o di bello e brutto, siano davvero soggettive e a volte anche un po’ inutili rispetto alla bellezza e alla pienezza di una storia ben raccontata e significativa.

Appena ho letto questo libro l’ho pensato come ci siano tantissimi aspetti visibili in questo libro, aspetti che solitamente sono difficile da rendere reali durante le attività.

le parole che prendono forma

Un libro che dichiara pensieri ed emozioni come: rimanere a bocca aperta, scritto in blu! Quel cambio di colori, quelle sottolineature, quanta realtà e concretezza. Queste pagine possono aiutarci proprio a metterci in ascolto delle sensazioni che le storie degli altri, ma anche la nostra storia, può far nascere all’improvviso.


“Che ne dici, li tiriamo fuori di lì?”

Il fumetto: quella strana nuvoletta disegnata che può mostrare graficamente pensieri o parole, quella linea che spesso viene bistrattata con “solo un fumetto dai!” ma che invece racchiude, è proprio il caso di dirlo, racchiude le parole che pronunciamo. Accade spesso che come attività terapeutica si chiede ai bambini e ragazzi di scrivere qualcosa di sé, o di disegnarsi; questo però può essere un ostacolo perchè i bambini sentono spesso che ciò che producono viene giudicato, ma questo libro può aiutarli a mettersi in moto, ad avere un segno visibile del fatto che è possibile scrivere una storia, ed è possibile che sia bellissima perchè: guardiamo il processo e non il risultato!

Con questo libro così buffo quanto profondo, ricovriamoci che quando chiediamo che ci venga raccontata una storia, la storia personale, sono i singoli passaggi che fanno la differenza e danno unicità al tutto, che rendono quella storia davvero personale.

…e c’è anche qualcosa in più…

Alla fine del libro ci sono anche dei preziosi consigli per gli adulti su come guidare la lettura e con il consiglio migliore di tutti: DIVERTITEVI!

Come parlare ai bambini della morte attraverso l’educazione emotiva

Durante il periodo di emergenza sanitaria, sentivamo quotidianamente parlare di morte, attraverso l’uso di tantissimi sinonimi , da “lutto” a “perdita” ma come parlare ai bambini di questi difficili temi?

Libri e albi illustrati sulla morte e la perdita
Tabù, Ti ricordi ancora, Sette minuti dopo mezzanotte

Mentre ascoltavo o leggevo le notizie, pensavo a tutti quei bambini a cui veniva raccontato che un loro parente, amico o vicino di casa, era morto. Ho pensato a quanti genitori e famigliari potevano trovarsi in difficoltà e l’uscita di questo libro mi è sembrato  necessario in questo momento.

Tabù di Alberto Pellai e Barbara Tamborini, Mondadori

Durante la lettura ho apprezzato l’integrazione di parti neurobiologiche con altre più legate all’educazione, un bellissimo connubio grazie ai due autori: Alberto Pellai medico e psicoterapeuta e Barbara Tamborini, psicopedagogista.

Il libro non affronta solo il tema della morte ma anche quello della separazione, non parla solo dell’evento e di come spiegarlo  in modo adeguato ai bambini , si concentra anche in modo pratico ma non semplicistico sulla modalità con cui i genitori o gli adulti di riferimento possono accompagnare questi momenti.

È un libro pieno di riflessioni in cui si passa dalla teoria alla pratica, dove il punto di accordo è l’importanza di dare ai bambini un’educazione famigliare al tema della perdita, non solo nel momento in cui ci si trova ad affrontarla, ma anche in altri momenti della quotidianità familiare.

Questo libro si basa sull’alfabetizzazione emotiva di cui riporto una breve frase tratta dal libro stesso:

“ Chi non ha dimestichezza con il mondo delle emozioni rischia di restare intrappolato in un intreccio di sensazioni a cui non sa dare parola. Il bambino impara piano piano a esprimere quello che sente dentro; a casa, a scuola, ovunque, è costantemente immerso in un flusso di relazioni che generano in lui sensazioni positive e negative. L’alfabetizzazione emotiva è un compito lungo e impegnativo. A seconda della modalità con cui gli adulti di riferimento affrontano il lutto – soprattutto in fase precoce – il bambino potrà strutturare le proprie modalità di reazione ed elaborazione in modo più o meno funzionale.”

In questa frase è raccolta la parte più importante dell’intero libro, non è un manuale pronto all’uso per l’occorrenza, ma un insieme di modalità da utilizzare nella quotidianità. Non si rivolge solo ai genitori ma anche ai docenti e alla scuola, perchè anche come gruppo classe, come istituzione si è tenuti ad accogliere il dolore di un bambino o di un ragazzo ( prima di essere un alunno resta sempre una persona!), occorre avere uno sguardo anche sul gruppo classe e saper gestire le domande che possono sorgere da tutti. Il capitolo che interessa la scuola si apre in questo modo :

“Spesso, nelle classi, si vivono lutti, separazioni o eventi più o meno gravi, con implicazioni molto diverse a seconda delle capacità di percezione e comprensione degli alunni. Se gli eventi sono improvvisi e con risvolti molto complessi, l’impatto sulla psiche dei minori coinvolti direttamente e indirettamente rischia spesso di essere notevole. Mentre la normale programmazione didattica continua a dettare i calendari delle attività scolastiche, può succedere che qualcosa irrompa sulla scena e susciti nei docenti un interrogativo importante: che spazio dare a tale evento?”

La prima cosa che gli autori chiedono di fare a insegnanti ed educatori è quello di porsi delle domande, di non lasciare passare la cosa come se nulla fosse… tutto questo rientra proprio nell’alfabetizzazione emotiva.

All’interno del libro si trovano numerosi spunti pratici fra cui film e libri dedicati a questi temi, alcuni per i ragazzi e altri per gli adulti. Non sono schede o domande precostituite ma spunti di riflessione che possono aiutare gli adulti a trovare le giuste modalità comunicative per accompagnare i propri figli in questi vissuti.

Così ho deciso di aggiungere a questa recensione altri due libri per ragazzi e bambini ( il primo è consigliato anche dagli autori del libro).

“Sette minuti dopo la mezzanotte” di Patrick Ness edito da Mondadori

Un libro che ho conosciuto qualche anno fa e che ho avuto la fortuna di leggere all’interno di alcune classi, con le giuste domande è riuscito a smuovere anche i ragazzi all’apparenza più duri e all’apparenza svogliati che hanno espresso splendide riflessioni…e perchè? Perchè questo libro unisce il fantastico alla fiaba, la realtà all’immaginazione ed è scritto in modo fluido riuscendo a catturare l’attenzione anche dei lettori meno convinti. Da questo libro hanno tratto anche l’omonimo film, fedelissimo al libro e per questo super consigliato. La storia reale parla di una ragazzo e della sua mamma che sta morendo a causa di un tumore, parla delle difficoltà del parlarne e del doversi ricostruire un “dopo”…ma un saggio e spaventoso albero aiuterà il protagonista a trovare le giuste parole e i giusti pensieri proprio per il suo dopo…

“Ti ricordi ancora” di Zoran Drvenkar e Tutta Bauer edito da Terre di mezzo

Un albo illustrato in cui due donne raccontano la loro amicizia fatta di storie incredibili, avventure e di perdite. Non parla di bambini ma la sua particolarità sta proprio nel raccontare, nella quotidianità, il trascorrere della vita. È un albo poetico e pratico allo stesso tempo che aiuta anche a capire lo scorrere normale della vita, le situazioni che accadono e che non vanno nascoste.

La conclusione la lascio agli autori di “Tabù” perchè non saprei proprio scegliere parole migliori di queste:

“Leggete queste pagine come un allenamento in grado di potenziare la vostra muscolatura emotiva, per essere pronti quando i vostri figli vi chiameranno per affrontare le loro paure e per rispondere alle domande che portano nel cuore”.