Mappe delle mie emozioni

e perchè esplorare le emozioni è il modo migliore per conoscerle…

Le emozioni non si insegnano, si vivono, si affrontano, si scoprono, si parlano, si esplorano. Per questo motivo uno dei miei albi preferiti per parlare di emozioni è questo: “La mappa delle mie emozioni” di Bimba Landmann edito da Camelozampa  puoi trovarlo qui! 

Questo albo è un ottimo esempio di come le emozioni siano sfumature in cui le terre esplorate diventino così simili e così diverse. Abbiamo la terra della speranza in cui troviamo la “strada che guarda lontano” e il “piccolo lago delle idee”. Una terra in cui ritroviamo immagini e parole che spesso vengono utilizzate quando si parla di psicoeducazione alle emozioni, parole che bambini e ragazzi riportano spesso nelle loro narrazioni, ma che altrettanto spesso vengono poco ascoltate e giudicate come parole da sognatori. Quasi che quelle parole non fossero reali emozioni.

Le terre della paura, sono tinte di giallo e raccolgono il batticuore, il terrore, il castello pallido e la strada senza via d’uscita. Quante di queste parole vengono usate da bambini e ragazzi quando parlano delle  loro paure: paure del futuro, della scuola, nelle relazioni. L’immagine delle terre in cui viaggiare ci permette di aprire un punto importante delle emozioni e della psicoeducazione: non esiste una scala gerarchica che va in un’unica direzione, ma c’è una esplorazione che ci permette di conoscere e sperimentare gradi diversi in momenti diversi, delle nostre emozioni.

Questo albo racconta mille storie diverse, racconta storie lunghissime in cui  il disgusto diventa inaccettabile, e storie di pochi secondi in cui il Mare Esultanza, diventa l’unico orizzonte che abbiamo.

Questo albo può essere una mappa preziosa per iniziare un percorso di psicoeducazione emotiva; uno strumento in cui rispecchiarsi o da cui prendere parole nuove, un disegno in cui rispecchiarsi, ma anche una partenza per scrivere la propria mappa delle emozioni.

Spesso mostro queste immagini a bambini e ragazzi dicendo loro “da che punto della mappa vorresti partire?” e già da questa scelta mi accorgo cosa preme di più a loro, in quel momento e, cosa vogliono evitare.

Certo non basta un libro e poche chiacchiere, oltre al primo passaggio ci vuole conoscenza e professionalità, occorre un professionista che conosce queste terre, che le ha esplorate a sua volta e che riesca a guidare i nuovi esploratori spesso spaventati o incuriositi.

quando si possono esplorare le emozioni, e quando è necessario farlo

In ogni momento è possibile fare un intervento psicoeducativo mirato, ma ci sono momenti in cui è più importante, momenti in cui è fondamentale.

Pensiamo a un bambino o una bambina che fatica a stare con i compagnǝ perchè si sente spaventata o non compresa, sarà importante capire e dare le giuste parole a quella sensazione. Altri potrebbero avere difficoltà nel rapporto con il loro corpo, ma se non riescono a trovare la giusta descrizione per quello che sentono e  rischiano di trovare, come unica strategia, comportamenti negativi che possono peggiorare il loro benessere mentale e anche fisico.

Se unǝ bambinǝ o unǝ  ragazzǝ faticano a restare attenti, ma non conoscono cosa sia e che nome abbia quella sensazione che li prende ogni volta che a scuola vengono rimproverati per questo, non potranno migliorare le loro capacità attentive, perchè non riusciranno a condividere ciò che sentono e a cosa è collegato.   

Per questi e molti altri motivi ho scelto di parlare di psicoeducazione emotiva in un webinar che potete trovare  a questa pagina. 

Esplorare assieme a bambini ragazzi le emozioni è un viaggio entusiasmante ma anche delicato, per questo non possiamo lasciare nulla al caso.

Un ragazzo è quasi niente: i ragazzi che di solito gli adulti non vedono

Raccontare l’adolescenza attraverso i libri è spesso un racconto univoco in cui gli adolescenti vengono rappresentanti come persone che ricercano forte emozioni, che hanno comportamenti estremi, e di sicuro esistono e ci sono, ma ci sono anche ragazzi che sono quasi niente, ragazzi che stanno negli angoli, che parlano sottovoce. Per questi ragazzi la casa editrice Terre di Mezzo ha lanciato la nuova collana “slanci” che racconta le nuove adolescenze lo trovate qui .

Romeo: un ragazzo che non corrisponde a ciò che la società si aspetta da lui

Romeo è un ragazzo che ama la musica degli anni ’70, che preferisce il silenzio del negozio dello zio alle feste con i coetanei. Romeo inizia la sua storia in ospedale, e poi ci racconta in versi cosa e chi lo ha portato in quel luogo così estremamente bianco.

Romeo non è un ragazzo arrabbiato, non esprime la sua rabbia con parolacce, non ricerca esperienze forti, cerca la vera amicizia ma è circondato dal gruppo. Da un gruppo che non lo accetta per ciò che è, perchè accettarlo vorrebbe dire vederlo. Romeo vive in una famiglia che sembra “normale”, una famiglia che lo vede come una persona sfumata ma senza sfumature.

Romeo conosce Justine e  con lei si sente libero di essere  se stesso e non quello che gli viene richiesto perchè un ragazzo, maschio nella nostra società non può essere come lui si sente.

 

Leggere in versi, come una canzone

La storia di Romeo ci viene raccontata usando una scrittura in versi, una specie di canzone o di  messaggi. Questo tipo di scrittura rende il ritmo della narrazione ritmato e riesce ad esprimere con poche parole concetti complessi, emozioni contrastanti anche quando si tratta di descrivere un atto di cyber bullismo che Justine subisce.  

perchè leggere questo libro

Questo romanzo parla a tutti i ragazzi e alle ragazze che non si ritrovano nelle storie estreme, che hanno bisogno di un racconto delicato in cui ritrovare le proprie sfumature. Un racconto in cui Romeo rappresenta i ragazzi che parlano poco, che cercano di stare  con poche persone che li fanno sentire bene, ragazzi che a volte si trovano in situazioni estreme,  ci si trovano per caso, perché aiutano altri  o perchè le cose delle vita si susseguono in modo inaspettato.

Per gli adulti, è un romanzo che apre gli occhi sui ragazzi che stanno  in disparte, quelli silenziosi, quelli che sembrano niente, quelli che ci dimentichiamo e che invece hanno bisogno di noi. Romeo aveva bisogno che i suoi genitori parlassero con lui, che raccontassero la loro storia. Romeo aveva bisogno di amici che lo ascoltassero e non lo giudicassero, Romeo non è molto intelligente, non è molto bello, non è molto talentoso… ma è molto sensibile, una sensibilità che lo rende quasi niente.  

quando il modo è più importante del contenuto

A volte per parlare di adolescenza pensiamo che il tema centrale del racconto sia la cosa più importante, che sia quello che rende un racconto importante, invece a volte il modo con cui la scrittura esprime emozioni ed azioni, fa la differenza del libro, della storia.

Come i libri vengono scritti esprimono le emozioni che i personaggi condividono con il lettore; non abbiamo bisogno di avere storie sempre estreme che parlano di adolescenza, abbiamo bisogno di conoscere la realtà di tutte le adolescenze.

Buona lettura

Parlare di corpi significa vederli

“Love your body” di Jessica Sanders e illustrato da Carol Rossetti

Quando si sente dire o si legge che parlare di corpi è un fattore culturale, spesso si pensa che sia un modo di dire, un pregiudizio, e invece è reale. Quando vi parlo di libri che parlano di corpi, di illustrazioni in cui vengano mostrati corpi diversi, devo sempre mostrarvi libri stranieri. Cerchiamo di non vedere l’aspetto linguistico come un ostacolo, ma iniziamo a guardare questo albo…

introduzione: inclusività già dall’inizio

Nelle note dell’autore troviamo già un’attenzione incredibile (mia traduzione personale):

“Questo libro è stato scritto per le ragazze e per chi si identifica come una ragazza. In ogni modo, il linguaggio che ho usato non è legato al genere ed è universale. Gli effetti di un’immagine corporea negativa, riguarda tutti, non riguarda un solo genere, etnia o orientamento sessuale”

Questa introduzione ci rimanda ai principi di uguaglianza, di inclusività e di ascolto rispetto alla persona che abbiamo davanti. Nelle prime pagine dell’albo trovate immagini di tanti corpi diversi, tutte che mostrano il loro corpo per quello che è: un corpo. Un corpo da accettare, un corpo che è in uno spazio.

il corpo e lo spazio

Spesso parliamo di cambiamenti del proprio corpo, di un corpo che cresce ma mai di un corpo che occupa spazio. In questo albo troviamo proprio la parola “spazio”.

Il tuo corpo cambierà internamente ed esternamente. Il tuo corpo diventare più grande, e questo significa che prenderà più spazio, e questo va bene!

Parlare di spazio è importante perché è una sensazione reale, concreta e costante. Quando ci sediamo sentiamo il nostro corpo occupare la sedia, quando camminano per una via affollata sentiamo il nostro corpo occupare uno spazio, prendere contro ad altri corpi, quando non troviamo un posto per sederci, vediamo lo spazio che manca o cerchiamo di capire se in uno spazio ristretto il nostro corpo può sedersi.

Nei disturbi del comportamento alimentare, uno degli aspetti rilevanti legati all’immagine corporea è proprio quello della percezione tattile legata alla percezione del corpo propello spazio. Da una parte c’è una componete percettiva significativa, dall’altro c’è l’idea costante che occupare spazio sia un male. Che occupare spazio sia un problema, anche perchè spesso non tutti gli spazi sono adatti a tutti i tipi di corpi. In questo contesto parlare di spazio significa fare prevenzione e legittimare ogni corpo ad occupare il proprio spazio.

Qui un articolo scientifico a riguardo: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0165178111003623

cosa posso fare..non solo ciò che vedo

In molte pagine viene mostrato quello che può fare un corpo: abbracciare, ascoltare la musica, fare sport, annusare, leggere… tutte cose che il nostro corpo fa indipendentemente dalla sua forma e dimensione.

C’è un ampio spazio dedicato anche a gesti, pratiche, pensieri che possono aiutare ad aver un approccio di gratitudine verso il proprio corpo.

Ringraziare e non giudicare

Ringraziare il proprio corpo e non usare parole giudicanti è un aspetto importantissimo di prevenzione. Il modo in cui dialoghiamo internamente con il nostro corpo forma i nostri pensieri e le nostre emozioni e sensazioni. Avere libri che possono dare aiuti concreti sulle parole, sulle azioni e sui comportamenti possibili da utilizzare è uno strumento di grande importanza… e capace di cambiare la vita di bambini e bambine.

ciò di cui il mio corpo ha bisogno

Nell’albo c’è ampio spazio anche per l’idea del riposo, del sentire i propri bisogni, sentire il proprio corpo e dare al proprio corpo il tempo del riposo. Quanto è importante nella nostra società performativa, dire che il nostro corpo ha bisogno di riposo, di fare attività piacevoli, di essere ascoltato.

Anche questo aspetto è un importante aspetto di prevenzione: nessun perfezionismo ma tanto ascolto e la possibilità di scegliere di fermarsi. Questo aspetto spesso viene sottovalutato, si pensa che bambinǝ e ragazzǝ non siano mai stanchǝ, invece dare loro il tempo di capire ciò che il corpo chiede è un aspetto di estrema importanza, anche per imparare ad ascoltarsi aiuta ad avere pensieri gentili ed evita i pensieri estremi.

chiedere aiuto..anche prima che serva

L’importanza di chiedere aiuto anche prima che ci siano segni visibili che possano essere definiti sintomi (manifestazione di un disagio o di una malattia), chiedere aiuto per comprendere le modalità e strategie che si mettono in atto quando si pensa il proprio corpo, Capire quali sono gli aspetti sociali che influiscono sulle nostre idee e percezioni.

Tutto questo è prevenzione.

Trovi molti articoli a riguardo qui https://www.serenaneri.it/category/prevenzione/

nessuna pianura, solo montagne

Alla fine il libro non ci propone false realtà, aspettative non realistiche, ma ci propone una montagna. Come in montagna la visione e percezione del nostro corpo cambia: può essere faticosa, può essere soddisfacente, può essere stabile e piatta o cambiare rapidamente. Può darci le vertigini e farci soffrire, o può permetterci di riposare… tutto questo è normale.

Spiegare la normalità di questi alti e bassi, previene che ci si spaventi nel viverli, previene che ci si senta impreparati quando si sentono.

Parleremo di questo albo, di altri albi illustrati e di corpi nel progetto

“C’era una forma… come parlare di corpi a bambinǝ e ragazzǝ” trovate il dettaglio qui https://www.serenaneri.it/cera-una-forma-una-newsletter-per-parlare-di-corpi-con-bambini-e-ragazzi/

“Dentro me cosa c’è?” perché è importante che bambini e ragazzi conoscano chi sono

Dentro me cosa c’è? edito da Terre Di Mezzo

Tutte le persone in momenti diversi della vita si fanno questa domanda: dentro me cosa c’è? E’ una domanda che contiene il senso della persona, l’esigenza di conoscersi, il capire chi si è e cosa sta dentro la nostra mente e dentro il nostro corpo. Quindi chiediamoci “Dentro me cosa c’è?” e perchè è importante che bambini e ragazzi conoscano chi sono.

le emozioni

Partiamo da loro: le emozioni. Sulle emozioni si è detto moltissimo, ci sono tantissimi libri, corsi di formazione, film… ma spesso non ci si ferma ad ascoltarle. Guardate questa illustrazione ci sono molte emozioni al suo interno, c’è il nero, il colore, l’illustrazione, il buio (cosa vedo), il mal di pancia (cosa sento), l’emozione (le farfalle nello stomaco). Dividere e allo stesso tempo, unire, ciò che si prova quando si sente un’emozione è un processo difficile che richiede tempo, richiede allenamento ma è fondamentale per sapere cosa si prova.

Abituare i bambini, che saranno poi ragazzi, a fermarsi a sentire ciò che c’è dentro di loro, è uno degli aspetti fondamentali per sapere nel modo più preciso possibile, cosa provo in quella situazione e quindi come posso reagire. Questo aspetto diventa quindi un fattore protettivo ( trovi un approfondimento qui https://www.serenaneri.it/pregiudizi-sulla-salute-mentale/ ).

I pensieri

Spesso questo è l’aspetto più difficile per i bambini e le bambine, dare voce ai propri pensieri. Per farlo abbiamo bisogno come prima di fermarci, di ascoltare “nel cervello molti perchè” . La capacità di comprendere i propri pensieri, è un fattore protettivo in quanto permette alla persona di sentire come propri i pensieri che sente e questo dà la capacità di poterli anticipare (cosa penso in questa situazione), ma anche di pensare a ciò che potrebbe accadere dopo ( cosa potrei pensare in questa situazione). Avere la capacità di sentire e dare voce ai propri pensieri, è un enorme fattore protettivo perchè permette la possibilità di utilizzare il problem solving, la flessibilità cognitiva, la comprensione dei pensieri dell’altro.

Forse ci capita spesso di chiedere ai bambini cosa hanno fatto, ma poco di chiedere “cosa hai pensato in quel momento?”… questo potrebbe già essere un ottimo inizio.

io sono anche il mio corpo

Tendiamo a essere molto attenti al benessere fisico dei bambini, li guardiamo, li osserviamo, vediamo se crescono in modo adeguato, chiediamo al medico se tutto va bene… poi cambia il nostro sguardo. I corpi diventano qualcosa da giudicare, da osservare perchè non diventi qualcosa di “diverso” da ciò che dovrebbe essere. Il corpo diventa un accessorio proprio nel momento in cui il corpo viene giudicato a livello sociale, viene vissuto come faticoso e pieni di cambiamenti.

“Dentro me cosa c’è?” descrive anche un corpo, uno stomaco, una pettinatura… e tutto questo arricchisce la domanda iniziale e pone la domanda esistenziale del “sono io?” . Sono io quel corpo che cambia, quel taglio di capelli, quel vestito che mi sta in quel modo, questi piedi che crescono, questo viso che cambia…

Il corpo fa parte del nostro modo di conoscere noi stessi e ciò che ci sta attorno, ma se considero il corpo solo come qualcosa da giudicare, da riempire o da svuotare, come posso riconoscerlo strumento di conoscenza fondamentale per la mia persona?

Iniziamo a mostrare e descrivere come il nostro corpo ci aiuta nelle azioni quotidiane , anzi sia fondamentale indipendentemente dall’essere magro o grasso, lungo o corto, con o senza una disabilità, ma iniziare a descrivere il proprio corpo senza giudizio.

noi siamo tante cose…non cerchiamo di semplificarlo!

Spesso cerchiamo di incasellare i bambini e i ragazzi in poche parole o in poche azioni, dimenticandoci che tutti noi siamo tante cose insieme, che sono i momenti diversi che ci caratterizzano e che oltre alle etichette, siamo anche una serie di scelte, di passioni, di valori, sin da piccoli.

Abituare alla complessità, all’esperienza delle molteplici risposte, aiuta a comprendere che ci possono essere varie soluzioni, che ci possono essere più comportamenti adeguati in un solo contesto. Permette di fondere senza giudizio più emozioni diverse, più pensieri diversi a volte anche contrapposte fra loro.

Unǝ bambinǝ può provare estrema gioia a casa ed estrema tristezza in un altro contesto, è sempre lǝ stessǝ bambinǝ ma, non dobbiamo pensarlo solo come felice o triste; è un insieme di tutte queste emozioni e sensazioni.

Dentro me cosa c’è?… un’infinità di cose, questo albo illustrato ci permette proprio di comprenderle tutte. Buona esplorazione di complessità a tuttiǝ voi!

per saperne di più

Per capire ancora meglio cosa si intende per fattori protettivi puoi leggere questo articolo dell’UNICEF https://www.unicef.it/diritti-bambini-italia/salute/salute-mentale/

Ella sulle onde: la storia di un viaggio da affrontare

Ella sulle onde” è un albo illustrato che racconta la storia di un viaggio da affrontare. Ella parte su una piccola barca, che diventa la storia per ritrovare la felicità, la storia che parte da una notte buia, un momento triste, e da lì la necessità di cercarsi.

Spesso la metafora del viaggio viene usata in psicologia proprio perchè legata alla fasi in cui un viaggio si vive: partenza, percorso e arrivo. In questo albo sono tutte presenti e penso che ognuno di noi possa trovare la sua parte di viaggio. Iniziamo.

partenza

Ella si trova in un luogo privo di luce, è da sola seduta su una piccola nave e ha paura. Penso a tutti i bambine e le bambine, le ragazze e i ragazzi, le famiglie che vedo per lavoro e che spesso si sentono soli, abbandonati e brancolano nel buio per capire dove trovare le risposte che cercano. In questi momenti non c’è il dinamismo che spesso si associa al viaggio, ma c’è la staticità, il sentirsi immobile. La partenza non sempre viene da una spinta, a volte nasce proprio dal vedersi fermi.

Vedo che non mi sento meglio, vedo che a scuola non miglioro, vedo che non mi sento tranquillǝ, vedo che non stanno cambiando le mie relazioni, vedo che gli altri si muovono e io sono fermǝ.

percorso

Ella viene invitata a partire da un uccello bianco, o meglio a continuare il suo viaggio. Questo personaggio la accompagna, non la costringe, non la tira, non la tiene per mano, ma accompagna da lontano.

Penso a quante volte le persone, i bambini e le bambine, si trovino in una situazione di paura, di solitudine, in momenti dolorosi della loro vita o semplicemente in momenti in cui tutto sembra fermo. A volte è sufficiente trovare qualcuno che ci accompagna dall’alto, che segue i nostri passi dalla giusta distanza: può essere un insegnante, un amico, un terapista…e su questo mi soffermo un attimo.

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Occuparsi di salute mentale non significa mai e poi mai sostituirsi. Non significa dire le cose più comode da fare o dire quello che fa piacere. Occuparsi di salute mentale significa mantenere la giusta distanza per mostrare nuove strade e nuove prospettive. Il buio non si scaccia all’improvviso con una luce accecante, si fa strada con un piccolo lumino, non dobbiamo spaventare, ma dare la giusta intensità di luce al cammino che proponiamo.

Nella pratica non possiamo solo soffermarci sul risultato finale che vorremmo ottenere (migliorare l’attenzione, essere più felici, migliorare l’apprendimento scolastico…), ma dobbiamo partire da come ci si sente ora, dalle abilità che possiamo usare da subito, e da lì sviluppare…il nostro viaggio.

una balena lungo il percorso
Ella sulle onde la storia di un viaggio da affrontare

Verso la metà del viaggio, Ella è sconsolata, qualcuno l’ha aiutata ad andare avanti, altri invece l’hanno ostacolata, ma poi incontra una balena. Meglio, la balena va verso il cammino di Ella. Durante il percorso c’è la casualità, ma spesso c’è anche l’intenzione di aiutare.

L’intenzione nell’aiuto deve essere sempre da entrambe le parti: chi aiuta e chi viene aiutato. Balena spiega come può aiutare Ella, ed Ella si fida e si lascia aiutare.

Quando si inizia un percorso terapeutico o di riabilitazione, la prima parte, la più importante, è quella di definire gli obiettivi, spiegare in cosa consiste il nostro aiuto. Balena però può essere anche una persona che porta la sua esperienza “di chi ha navigato per tanto tempo nell’oceano”, e la sua esperienza, è diversa da quella di Ella ma ne conosce più sfumature, ne riporta una storia. Ella trova in balena, un aiuto che non solo la sostiene, ma che la fa sentire compresa. Ciò non significa che un professionista per la salute mentale debba passare tutte le difficoltà dell’altro, ma che deve conoscere le proprie emozioni, le proprie fatiche ed i propri limiti (diffidate sempre da chi si occupa di tutto! come si fa a solcare l’oceano e a comprendere anche le montagne?).

arrivo
Ella sulle onde la storia di un viaggio da affrontare

Ella durante il percorso incontra personaggi ed emozioni spaventose. Ella resta seduta sulla sua barchetta in preda alle onde fino a quando non scorge l’arrivo. Un luogo con tante persone che stavano navigando come lei. Di persone che erano a fianco a lei sulle proprie barchette per arrivare sull’isola in cui si trovano tutti ora.

Non sappiamo se questa isoletta si l’arrivo, o solo un primo arrivo…o forse il secondo o il terzo.

Il viaggio per comprendersi, per raggiungere un obiettivo personale, per sentirsi meno affaticati, può avere moltissime tappe, moltissimi arrivi. La cosa principale è ricordare ogni parte del viaggio, ricordare la disperazione del buio, il sollievo dell’aiuto, il dubbio davanti alle onde potenti, la luce che di rende più chiaro il percorso.

La cosa principale di ogni viaggio è davvero il viaggio stesso.

Questo albo illustrato non toglie niente, non rende tutto bello, mostra le difficoltà e i momenti di delusione. Ogni volta che intraprendiamo un percorso per la salute mentale dobbiamo dire anche queste parti: la fatica del cambiamento, le cose che potrebbero cambiare durante il percorso, le eventuali ricadute causate da eventi o persone specifiche. Questi si chiamano fattori precipitanti, come quelliche fanno precipitare le persone dalle navi…ma ci sono anche i fattori protettivi, come la balena che ci sostiene mentre stiamo per cadere.

Ecco penso che questo albo sia meraviglioso per illustrare un nuovo viaggio per la salute mentale da effettuare insieme.

Approfondimenti

https://www.stateofmind.it/2019/09/viaggio-psicologia/

https://www.terre.it/prodotto/ella-sulle-onde/

Perché parlare di fiducia in sé stessi “self confidence” e non di autostima

Pixabay

Il termine autostima è sempre fra le parole più usate, e abusate, quando una persona non si percepisce “abbastanza bravǝ” per fare qualcosa. Si parla di percorsi per “aumentare l’autostima”, corsi per “insegnare l’autostima”, ma siamo davvero sicuri che sia il percorso giusto per farlo? Siamo sicuri che per aiutare unǝ bambinǝ o unǝ ragazziǝ abbiamo bisogno di aumentare un valore numerico che lui o lei vuole darsi? Ecco io vorrei iniziare a parlare di : fiducia in sé stessi.

la fiducia in sé stessi non si insegna ma si sperimenta

Primo punto fondamentale: non si insegna in 10 sedute l’autostima; “è infatti difficile accrescere l’autostima di un individuo, poiché è stato dimostrato come essa è altamente resistente al cambiamento” (Swann, 1996). Quindi capite che se è resistente al cambiamento, allora non la posso “insegnare”, non si modifica con alcuni esercizi creati in modo specifico a tavolino.

Il concetto di “autostima” è un concetto multidimensionale, contiene la stima che ho di me e del mio corpo, di me nella mia famiglia, di me con i miei pari, di me nella mia vita scolastica o professionale. Questa particolarità sottende quanto si formi sin da bambini questo concetto…concetto però che è altamente giudicante. Pensate a unǝ bambinǝ che impara un nuovo gioco, sarà felice e si dirà che è un ottimǝ giocatore o giocatrice, che è migliore degli altri… questo però metterà gli altri in una situazione di inferiorità agli occhi del bambinǝ. Pensate se lo stessǝ bambinǝ un giorno perdesse allo stesso gioco, non sarà solo sfortuna o qualche errore commesso che ha stabilito il risultato… sarà la persona stessa a perdere il proprio valore e a valutarsi in modo negativo.

“Ti cerco ti trovo” ed. Camelozampa

Il concetto di autostima in questo modo intacca l’individualità della persona, fa sì che la persona stessa dia una “stima” numerica a ciò che fa e quello che fa, diventa quello che è. La persona diventa un giudizio, la persona diventa un numero da incasellare e perde il suo valore di complessità. Proprio per questo penso che il termine autostima, sia da sostituire, perchè al suo interno nasconde giudizi negativi verso di sé, e la minima possibilità di cambiamento.

alcune ricerche

Secondo le ricerche le situazioni in cui la ricerca di validazione di sé dipende da conferme altrui hanno costi personali particolarmente alti (Crocker, 2002; Pyszczynski, Greenberg e Goldenberg, 2002); in età adulta, l’autostima è costituita prevalentemente da giudizi e confronti con l’esterno (Coopersmith, 1967; Harter, 1999). L’autostima si basa moltissimo sul giudizio degli altri, su come mi vedono, sul giudizio che mi danno, sulle caratteristiche che gli altri vedono in me (Cooley, 1902, 1956; Mead, 1934). Il confronto sociale è quindi fattore determinante aggiuntivo nell’autostima (Aspinwall e Taylor, 1993; Beach e Tesser, 1995; Buunk, 1998; Deci e Ryan, 1995; Suls e Wills, 1991). Insomma oltre ai giudizi individuai che costruisco personalmente nell’arco di vita, si aggiungono anche tutti i giudizi sociali per cui sappiamo che spesso creano pregiudizi che se interiorizzati, diventano un freno per la persona e possono poi diventare stigmatizzanti ( ne avevo parlato qui https://www.serenaneri.it/pregiudizi-sulla-salute-mentale/).

Con questo primo punto per cui si sperimenta ogni giorno la crescita personale, penso davvero sia necessario parlare di fiducia in sé stessi “self confidence” e non di autostima

parlare di fiducia in sé stessi “self confidence” e non di autostima

Se parliamo di fiducia in sé stessi intendiamo sempre un costrutto formato da più aspetti, ma leggete la differenza fra prima (quanto sono bravo nel gioco, quanto valgo come studentǝ, …) e ora:

Quanta fiducia ho delle mie emozioni? Riesco a riconferme e gestirle? Quanta fiducia ho nelle mie abilità? Penso di riuscire a superare un errore, qualcosa che non va come pensavo? Ho fiducia nella mia capacità di risolvere i problemi che incontro ogni giorno?

La self confidence, è molto di più del termine autostima, è un ragionamento attivo, è metacognitivo (devo pensare al modo in cui io affronto le cose ogni giorno), è un processo che non dà una stima numerica, ma aiuta nel crearsi un dialogo interno attivo, positivo e non giudicante!

nella pratica…
parlare di fiducia in sé stessi “self confidence” e non di autostima
  • Riconosci e sottolinea i tuoi punti di forza.
  • Premiati e lodati per i tuoi sforzi e progressi, durante tutto il percorso, non solo per il tuo risultato finale!
  • Quando fai un errore, tratta te stessǝ con gentilezza, non soffermarti solo sul fallimento.
  • Stabilisci obiettivi realistici e raggiungibili. Non aspettarti la perfezione; è impossibile essere perfetti in ogni aspetto della vita.
  • Pensa alle tue capacità prima di iniziare un qualsiasi compito.
  • Esprimi i tuoi sentimenti e bisogni

Pensate se fin da bambinǝ riuscissimo a capire di rivolgerci a noi stessiǝ in modo gentile (non dire “sei stupidǝ” ma “questa volta non ho fatto un buon compito, la prossima volta farò più attenzione durante lo studio”), se iniziassimo a dire ai bambinǝ non solo bravǝ per il risultato finale, ma per il processo che lo ha condotto lì (hai avuto pazienza quando il colore non andava, hai rispetto in modo gentile al compagno, hai fatto una pausa quando sentivi la rabbia crescere…). Si iniziassimo a prendere confidenza con i nostri limiti, con il fatto che va bene anche non sapere fare delle cose, va bene se non siamo i più bravǝ a correre o a leggere o a socializzare, sono dei limiti che posso voler modificare o accettare per quello che sono, perchè io resto io, anche se non faccio sport o se non ho i voti migliori.

Notate come tutte queste attenzioni rendono la fiducia in se stessi una chiave fondamentale per lo sviluppo della persona? Per questo è importante parlare di fiducia in sé stessi “self confidence” e non di autostima.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

“La self- compassion: il potere di essere gentili con se stessi” Kristin Neff

“Il self handicapping. Strategia di presentazione di sé” Mazzoleni, Pedroni

“The Self-Compassion Workbook for Teens: Mindfulness and Compassion Skills to Overcome Self-Criticism and Embrace Who You Are” di Karen Bluth e Kristin Neff 

https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/13576500444000317

https://journals.francoangeli.it/index.php/modelli-mente-oa/article/view/3442

Comunicare e condividere i percorsi riabilitativi con bambini e ragazzi

Spesso nei corsi di formazione, nei manuali, si spiega come comunicare alla famiglia le diagnosi e i disturbi, ma è fondamentale comunicare e condividere i percorsi riabilitativi e le diagnosi anche con i bambini e i ragazzi.

Il termine che viene utilizzato per definire questa capacità è self-advocacyLa capacità di un individuo di comunicare, trasmettere, negoziare o affermare efficacemente i propri interessi, desideri, bisogni e diritti. Implica prendere decisioni informate e assumersi la responsabilità di tali decisioni” (VanReusen et al., 1994).

Lavorare assieme ai bambini e ai ragazzi significa anche renderli partecipi del loro percorso, spiegare cosa stanno facendo e la motivazione. La consapevolezza del fare certe attività o certi discorsi, permette alla persona di riflettere sul suo discorso, sempre tenendo in mente l’età e lo sviluppo emotivo e cognitivo personale. Ora vorrei condividere con voi qualche esempio che spesso mi è stato utile per spiegare a bambini e bambine, un disturbo, una fragilità o il perchè del percorso che avremmo iniziato insieme.

PARTIAMO DAGLI ALBI ILLUSTRATI

Uno degli albi illustrati che preferisco in assoluto è “Un trascurabile dettaglio” edito da Terre di Mezzo e scritto da Anne Gaelle Balìe e Cisl.

In questo albo il protagonista ha un difetto che non gli consente di scrivere e leggere bene e a causa del quale viene messo spesso in punizione e fatica a trovare amici che lo comprendono. Poi arriva un dottore, un dottore che con una “formula magica” rende quel difetto un trascurabile dettaglio che non è più ingombrante, non dà più fastidio ma diventa semplicemente parte della persona.

Questo albo si presta moltissimo con bambini e bambine che hanno un Disturbo dell’apprendimento (DSA), proprio perchè si rispecchiano nel protagonista. Può essere letto in condivisione per poi riflettere su quale “filo” , rende difficoltoso imparare (la lettura lenta, la difficoltà nei calcoli, la scrittura poco comprensibile…), quanto questo filo sia davvero ingombrante e spiegare quali strumenti possono aiutarci a rendere questo filo sempre più piccolo, meno ingombrante, meno invadente.

In questo albo possiamo trovare tanti ganci con la realtà emotiva o rispetto all’ambiente che circonda i bambini.

uno strano elettrodomestico

A volte ascoltando e parlando con bambini e ragazzi, ci accorgiamo che ci sono strumenti quotidiani che si prestano ad essere ottime metafore… come è accaduto a me con il robot aspirapolvere. Esatto, quel piccolo elettrodomestico che aspira i pavimenti, girando autonomamente per casa.

Questo strumento, può essere preziosissimo per spiegare che ci sono strumenti che ci aiutano a svolgere un compito in meno tempo e con meno fatica; uno strumento che tutti vedono ma che nessuno considera qualcosa di sbagliato. Ho usato più volte questa metafora per spiegare perchè è importante usare degli strumenti compensativi ( computer, tavola pitagorica, o anche un semplice memo sul telefono per ricordare gli appuntamenti senza ansia!). Ragionare su ciò che ci circonda, ci permette di vedere tutto in un’ottica nuova, più normale, rassicurante e concreta allo stesso tempo.

cervello e lampadine

Ogni disturbo, ogni fragilità, ogni emozione, parte dal cervello. Occorre spiegare a bambini e ragazzi come è fatto il nostro cervello, perché pensiamo, o ci comportiamo in un certo modo, cosa succede quando siamo in ansia, o arrabbiati o preoccupati, ed ecco altri due libri che possono aiutarci a spiegare come funziona il nostro cervello e che in noi, non c’è nulla di sbagliato:

C come cervello” Nomo edizioni

cosa c’è nella mia testa?” Il Castoro

Il punto sul “sentirsi sbagliato” è fondamentale per condividere progetti. Non dobbiamo “aggiustare, cambiare” dobbiamo condividere che possiamo aiutare a sentirsi più autonomi, più efficaci, sentirsi sicuri di sé, diminuire la fatica nel svolgere un’attività o dare più strumenti per poter scegliere ciò che è meglio, ciò che piace.

Spiegare prima di ogni attività il motivo per cui si fa, il modo con cui la faremo, rende partecipe l’altra persona, non subisce qualcosa di già deciso, non si sente uno spettatore, ma un attore del proprio percorso.

Di seguito lascio una rfiflessione nata durante un colloquio qualche anno fa, la lascio proprio così, perchè spiegare in modo semplice richiede uno sguardo attento, creatività e tanta conoscenza reale di ciò che di cui stiamo parlando.

“Serena, perché leggo più lento dei miei compagni di classe?”

Dentro il tuo cervello ci sono tante LUCINE come quelle che metti sull’albero di Natale hai presente?!
Sono tutte unite in fili e la cosa bella è che quando ne accendi una accendi anche tutte le altre. 
Ad esempio quando stai attento e ascolti la maestra ricordi quello che dice e questo accende un sacco di lucine. 
“È vero, sono bravo ad ascoltare! Anche le storie!”

Quando leggi più lento vuol dire che una lucina si accende più lentamente delle altre quindi fa un po’ fatica a fare luce. A volte basta l’allenamento e poi la lucina si accende veloce come le altre, altre volte invece la lucina rimane un po’ più lenta in questo caso si chiama dislessia. 
Non è un problema tuo non è che non sei motivato, o che non ti impegni abbastanza, semplicemente quella lucina è nata così… 

Ma sai qual è un’altra cosa bellissima del nostro cervello? E che quando accendi una lucina si accendono anche tutte le lucine dello stesso filo quindi ad esempio se tu stai molto attento diventi più curioso e quindi impari più parole e riesce a spiegarti meglio e trovi tanti modi per risolvere i problemi. 

In ogni caso ricordati che tu puoi sempre aggiungere altre lucine ai fili, che quindi non faranno più vedere la lucina fioca, ma tutti insieme mostreranno una grande luce.

PREGIUDIZI SULLA SALUTE MENTALE DI BAMBINI E RAGAZZI

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Quando parliamo di salute mentale tendiamo a parlarne in modo sbrigativo e semplicistico e a dire che “stiamo bene perchè non abbiamo nessuna malattia mentale”…ma in realtà diciamo così perchè ci hanno educato, e ci hanno spiegato, che si sta bene, quando non c’è nessuna malattia; ci hanno spiegato che se ci impegniamo e ci sforziamo, tutto andrà bene e noi staremo bene.

Ci hanno educato al controllo della nostra salute mentale e non ad osservarci. Questo fa parte dei pregiudizi presenti nella nostra società sulla salute mentale.

Allora partiamo da qui: la salute mentale è un processo continuo di equilibrio che oscilla dalla malattia alla completa salute e cambia costantemente nell’arco di una giornata e nel corso di tutta la nostra vita.

Stare in equilibrio significa capire ciò che pensiamo, ciò che proviamo e metterlo dentro all’ambiente in cui si troviamo per sentirci soddisfatti, consapevoli e capaci di poter affrontare la vita di tutti i giorni.

Parlare di salute mentale non è solo una questione da adulti e per gli adulti, deve anche essere una priorità per bambini e ragazzi perchè possano trovare attorno a loro tanti adulti capaci di parlare loro in modo normale di salute mentale; per fare questo occorre superare qualche pregiudizio partendo proprio dagli adulti.

cosa significa avere problemi di salute mentale?

Nell’immaginario comune, e quindi anche per i bambini e i ragazzi, chi ha “problemi di salute mentale” è uno strano, pazzo, imprevedibile, bizzarro, fuori di sé… questa è la narrazione che abbiamo sentito, e spesso ancora sentiamo quando parliamo di salute mentale. Ma è anche la narrazione che spesso vediamo in film e serie tv, che leggiamo sui libri e che troviamo sui giornali; ma la salute mentale parte dal concetto di equilibrio della persona fra se e l’ambiente che lo circonda, e tutti noi siamo persone dentro un ambiente, tutti noi abbiamo momenti in cui l’ambiente risulta più difficile da comprendere e momenti in cui invece ci troviamo bene.

boy running on pathway
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Pensiamo quindi a un bambino, può avere luoghi e persone che lo fanno sentire accolto, benvoluto, intelligente… e luoghi che invece lo fanno sentire di troppo, non accettato, inadeguato e questo causa sofferenza, causa tristezza, iniziamo a porsi delle domande “perchè? cosa ho sbagliato? Cosa posso fare per cambiare questa situazione!”, oppure non ci si pone delle domande specifiche ma  si agisce e si cerca di trovare dei comportamenti e delle azioni che portano a non sentire questa sofferenza o frustrazione. Ecco quando mostriamo ai bambini il loro sentire, i loro comportamenti, le differenze che provano fra una cosa che riesce facilmente e una che invece causa qualche difficoltò ci stiamo occupando della loro salute mentale.

Non la trovate una cosa estremamente normale?!?!

Esistono anche bambini e ragazzi però, che faticano a fermarsi in un punto di equilibrio e che possono presentare delle difficoltà maggiori, sia per motivi ambientali o fattori di rischio ( ambiente, traumi, cambiamenti…) sia perchè possono avere una difficoltà neuro biologica e presentare disturbi come difficoltà emotive, attentive o comportamentali.

In questi casi è molto importante non dare un giudizio o cercare un colpevole per ciò che è accaduto, è molto più importante invece capire a chi rivolgersi e quali sono i percorsi migliori da seguire per tornare… in equilibrio.

Qui trovate la descrizione della mia figura professionale Il tecnico della riabilitazione psichiatrica https://www.serenaneri.it/il-tecnico-della-riabilitazione-psichiatrica-in-eta-evolutiva/

ma non è troppo presto per parlarne con i bambini o per iniziare un percorso?

Questa è una delle domande che sento più di frequente. Perché abbiamo paura di parlare di pensieri ed emozioni ai bambini? Forse non le provano?

Certo che provano emozioni e pensano, cambia il modo in cui possono essere consapevoli dei loro pensieri, ma poterli accompagnare in questi processi, li renderà più flessibili e sicuri di sé. Il lavoro che viene svolto con i bambini su questi ambiti, viene affrontato attraverso i giochi, le storie, l’ascolto, la creazione di oggetti o la condivisione di parole.

Il pregiudizio in questo caso è rispetto la non conoscenza di quelle che sono le tecniche riabilitative possibili e attuabili con i bambini e ragazzi ( ne trovi alcune qui https://www.serenaneri.it/category/tecniche-riabilitative/)

si parla troppo di salute mentale!… o se ne parla male?!?

Questa frase è una verità, ma anche un pregiudizio! In questo periodo storico, specie sui social, si parla molto di salute mentale, ma si usa come se fosse uno slogan, qualcosa che serve per ingaggiare più persone… manca però la reale conoscenza di ciò che è!

La salute mentale, e la sua assenza, si ripercuote non solo sulla persona che la vive, ma anche sulla sua famiglia, le persone a lei care, tutti noi come società. (qui alcuni dati in breve relativi al 2019 https://oggiscienza.it/2019/12/05/costi-assistenza-psichiatrica/index.html).

Non è solo importante parlare di salute mentale ma è il modo in cui farlo che fa davvero la differenza. Su questo punto ho ragionato proprio questa mattina in una scuola in cui ho svolto un intervento sulla salute mentale e sui costi che ne derivano per la società. I ragazzi e le ragazze presenti hanno dichiarato la loro poca conoscenza in merito perchè nessuno ne parla, non si arriva nei luoghi in cui loro si trovano, e quello che vedono lo giudicano banale..non è ciò che sentono e vivono.

Per iniziare ripropongo alcuni libri utili per capire la propria mente, e a togliere qualche pregiudizio sulla salute mentale di bambini e ragazzi

https://www.serenaneri.it/salute-mentale-libri-divulgativi-che-parlano-ai-ragazzi/

Aiutare bambini e ragazzi ad avere un’immagine positiva del proprio corpo

Fare prevenzione per la salute mentale, significa anche aiutare i bambini e i ragazzi ad avere un’immagine positiva del proprio corpo. Significa iniziare a mostrare, a far vedere, non solo un modello definito di corpo, ma mostrarne molti, tanti quanti se ne trovano nella realtà. Avevo già parlato di questi temi che potete trovare qui https://www.serenaneri.it/category/prevenzione/ . In questo articolo cerco di spiegare in modo chiaro e specifico il concetto di immagine corporea nei bambini e nelle bambine.

che cosa si intende con immagine corporea
tratto da “All bodies are good bodies” di Charlotte Barkla e Erika Sarcedo

Per immagine corporea si intende il modo in cui sentiamo e pensiamo il nostro corpo, ha a che fare con: la grandezza, forma, vestiti, e per le persone con disabilità anche con gli strumenti che servono e sono per loro un aiuto (sedia a rotelle, apparecchio acustico, protesi).

Su questo ultimo punto è davvero importante soffermarsi: spesso non si tiene in considerazione l’aspetto della percezione del proprio corpo per le persone disabili, si pensa che siano strumenti “che servono” e che quindi non vengano mentallizzati e pensati come parti del proprio corpo. Sono invece aspetti importanti di cui tenere conto, soprattutto nei bambini che spesso, proprio in questa fascia di età, iniziano ad utilizzare questi aiuti per il loro corpo.

La propria immagine corporea viene influenzata dalla società, dalla famiglia, dai social, dalla tv, dai libri, dai commenti delle persone; per questo è un elemento estremamente dinamico e necessario per sviluppare una buona idea di sé, e per migliorare anche la propria autostima.

perchè parlare di immagine corporea con i bambini?

L’immagine corporea nelle bambine e nei bambini, è uno dei fattori di rischio che possono causare possibili disturbi mentali in adolescenza e in età adulta. Persone con un’immagine negativa del proprio corpo rischiano non solo di sviluppare disturbi alimentari, ma anche di aumentare i livelli di ansia, stress e quindi hanno maggiori probabilità di sviluppare disturbi depressivi.

Avere un’immagine positiva del proprio corpo può diventare un fattore protettivo per evitare disturbi mentali gravi, ma anche disturbi temporanei, che però possono influire sulla socialità ( ansia sociale, disturbi alimentari).

cosa significa avere un’immagine del proprio corpo positiva
faceless people scolding discontent black girl
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Pensate a un bambino o a una bambina, che pensa di essere grassa o grasso, che pensa di essere mal vestita o mal vestito, un bambinə che pensa di non poter giocare perchè il suo corpo è diverso dalla maggior parte dei corpi che vede intorno a sé. Pensate a un bambinə che pensa continuamente allo spazio che occupa, o si preoccupa di ciò che gli altri potrebbero dire sul suo corpo… come si sentirebbe? E voi come vi sentireste?

Le emozioni che emergono sarebbero, probabilmente, di tristezza, rabbia, ansia, inadeguatezza. Avremmo voglia di nasconderci, di evitare quella cosa, saremmo sempre in ansia per capire come gestire questa difficile situazione. Ecco perchè abbiamo bisogno di sviluppare il più possibile un’immagine positiva del nostro corpo, ecco cosa significa:

  • essere felici del proprio corpo per ciò che è
  • sentirsi a proprio agio con il proprio corpo
  • essere soddisfatti di come ci vediamo
  • essere consapevoli che “il corpo perfetto” non esiste
  • riconoscere che ciò che sono come persona è più importante di come appaio
  • non lasciare che l’apparenza detti le leggi della mia vita
  • essere consapevole che il benessere fisico del mio corpo è più importante di come appare
in che modo Aiutare bambini e ragazzi ad avere un’immagine positiva del proprio corpo

Uno dei primi passi per raggiungere questi obiettivi, è quello di evitare ogni forma di giudizio. È importante che gli adulti siano di esempio e non commento i corpi di altre persone per strade, che si sottolinei la capacità di fare qualcosa o di caratteristiche personali, rispetto al corpo ( ad esempio è meglio dire “ti sei impegnato moltissimo in questo compito” piuttosto che “ha un corpo davvero perfetto per fare questo sport”).

I bambini devono sapere che nessuno ha il diritto di dire loro chi dovrebbero essere o come dovrebbero apparire, dobbiamo coltivare i loro punti di forza e la loro capacità di risolvere e superare le difficoltà, sottolinenando l’unicità di ognuno e ognuna.

Il corpo deve essere descritto non solo in termini di bellezza, ma anche rispetto a tutto ciò che di comune e quotidiano riesce a svolgere, sottolineiamo quanto i bambini e le bambine hanno corso veloce, o hanno costruito grazie alle loro mani in modo preciso. Mostriamo ciò di cui il nostro corpo è capace, non solo perchè è atletico o allenato, ma perchè è un corpo creato per il movimento. La cura del corpo non deve passare solo come un fattore estetico, ma come un momento di benessere con se stessi; la cura del proprio corpo non è attraverso i trucchi o le feste a tema spa, la cura del nostro corpo è essere consapevoli della piacevolezza di una doccia calda, del profumo del dentifricio quando ci laviamo i denti… essere consapevoli di ciò che il nostro corpo sa fare significa mostrare a noi stessi il nostro corpo per quello che è realmente.

“I am enough” di Grace Byers

Normale e complicato: le storie dei lutti

Ogni volta che pensiamo al lutto, pensiamo subito alla morte delle persone, pensiamo che si possa provare solo per altri il sentimento angosciante del lutto. “Normale e complicato” le storie dei lutti…

“Normale e complicato” di Sara Ancois

Si pensa anche che i bambini e i ragazzi non possano sentire realmente un lutto “ lo prenderanno come un momento, cosa vuoi che cambi per loro…” o che non possano capire, e quindi ,invece di ascoltarli, inventiamo noi le storie per il loro dolore.

“Normale e complicato” con quella e che unisce e che non decide nulla, senza quell’accento che gli dà peso, che vuole farlo esistere, ma una piccola e che unisce la normalità alle cose complicate. Questo albo unisce il dolore e il tempo che ne occorre, la capacità di sentire il dolore e provare a lavorare assieme a lui, ma anche l’idea di lasciarlo da solo.

lutto non è solo in caso di morte… è normale e complicato
normale e complicato: le storie dei lutti

Il lutto può essere anche la perdita di un ruolo sociale che avevo, pensiamo ai ragazzi che cambiano scuola, compagnia di amici, o si trovano in situazioni famigliari che cambiano in modo rapido e imprevisto. Il lutto può essere il venire a conoscenza di avere una malattia, non solo fisica, ma anche mentale.

Pensate che sia semplice accettare che ho un disturbo dell’apprendimento, o un disturbo alimentare, o un disturbo mentale? Non lo è, perché il lutto che vediamo in queste pagine riprende il tema dello specchio in cui non mi riconosco, ma in cui vedo chi sono ora. Mi piace questa immagine dello specchio, in cui la persona che si faccia alla superficie illuminata crede di essere in un certo modo, pensa ai propri tratti del viso, la propria statura, la forma del proprio fisico; ma quando vede la propria immagine riflessa, vede il suo lutto, vede la sua trasformazione ingarbugliata e sconosciuta.

un albo per molte interpretazioni

Questo albo illustrato lascia aperte molte interpretazioni, ed è uno dei motivi per cui mi piace moltissimo, un albo che parla di utile e di inutile, di pesante e leggero, che raffigura un uomo nero pesante e una piuma colorata, leggera. Il peso di una scelta, la leggerezza del cambiamento, il peso del cambiamento e la leggerezza di poter scegliere.  Su questo mi vengono  in mente i tanti ragazzi che per anni hanno pensato di scegliere quella scuola, quel lavoro, quella relazione, e invece si trovano a fare i conti con ciò che sono realmente diventati, e vivono il lutto di vedersi cambiati o di dover cambiare il proprio bagaglio personale.

Questo albo creato con poche parole e tratti decisi, è frutto di un lavoro di relazioni terapeutiche della dottoressa Sara Ancois ( qui trovate una sua intervista https://metismagazine.com/2022/08/05/intervista-a-sara-ancois-autrice-di-normale-e-complicato-ovvero-come-la-mente-ci-protegge-dagli-effetti-del-dolore/ ) che mostra il lutto come relazione di scambio e non come esperienza solitaria. La nostra società è ancora piena di stereotipi per cui il dolore è negativo, devi gestirlo da solo e in fretta. Abbiamo bisogno di albi come questo che parlano a molti, parlano delle parole che il lutto può aiutare a dire, al modo in cui possiamo ma non dobbiamo, sentirci. 

Il lutto è un processo in cui gli strumenti (occhiali, scarpe, Sacchi…) hanno valore per un breve tempo, ma poi diventano pesanti e difficili da pensare in modo distante da me. 

Il lutto è normale, e certamente complicato, il lutto unisce con una E e non deve diventare una persona   con una “è”.

La mia ferita cambia forma 

oggi 

somiglia all’ago di una bussola