C’era una forma: una fiaba per parlare di salute mentale

C’era una volta, edizioni L’Ippocampo

Tutte le fiabe classiche iniziano con “c’era una volta”, ma qui si parte con “c’era una forma”. Ci insegnano le forme quando siamo bambini, impariamo a misurarle, a riempirle, a scoprire quanto misurano intorno, dentro, quanto misurano da un vertice all’altro..ma non ci insegnano a raccontarle. C’era una forma penso possa essere una fiaba per parlare di salute mentale.

C’era una forma è la storia di un regno, tutta scritta come una splendida filastrocca in stile medioevale, in cui  “tutti erano ben sagomati”. Non c’erano forme senza spigoli e spigoli senza caratteristiche.

Il re angoli retti pensieri ristretti”  è colui che governa il regno guardando tutto con la sua forma, e lo stesso fa con i propri figli, che purtroppo…sono tondi.

Si provò a raddrizzarli ma anche a furia di strizzarli, con stampini e con corsetti, rimanevano imperfetti”, la perfezione era un angolo, acuto o ottuso, ma un angolo! Nessun poteva uscire da queste forme, anche a costo di sacrificarne la vita. 

Inaspettatamente arrivò così una “forma solitaria e del tutto straordinaria”, una fata che cambiava colore e poteva aiutare la regina a concepire un figlio con i vertici, ma anche capace di mostrarle che   “dietro forme lambiccate c’erano qualità spiccate!” per ognuno dei suoi figli.

Ma poi questa figlia così perfettamente triangolare scelse un marito così tondo da riuscire a ballare, il re provò a limarlo, tagliarlo, modellarlo…ma tondo era e tondo tornava fino a quando assieme alla principessa  “per un po’ dimenticarono chi denigrava le loro forme non rientrando nelle norme” .

la rigidità

Quanti spunti ci sono in questo albo, c’è la forma della rigidità. La stessa rigidità che spesso accompagna i nostri pensieri, le nostre scelte, le nostre percezioni e convinzioni. Quanto sarebbe importante riuscire a smussare queste rigidità e prendere le decisioni per ciò che sono senza per forza doverle incastrare in mezzo a piccoli vertici che ci impediscono di guardare oltre. 

Penso a questo albo proprio per attività di psicoeducazione all’ansia, per spiegare i pensieri rigidi e disfunzionali, per mostrare quanto ci accaniamo a limare tutto… ma non vediamo altri pensieri molto più funzionali per noi.

la forma e il corpo

Il guardare la forma degli altri, il corpo degli altri, la forma dei loro vestiti, dei loro accessori, notare se hanno spigoli o curve. Un albo preziosissimo per riflettere sulle forme, su quanta importanza ne diamo se ci troviamo all’interno di un regno in cui la forma è tutto. La curva vista come semplicemente una forma, un altro tipo di forma ma non un errore; una figura con più linee diverse vista per ciò che è e per ciò che può dare, non come un’imperfezione.

Questo albo potrebbe essere davvero uno spunto perfetto per parlare di società grassofobica, di perfezionismo e di come i nostri pensieri sono influenzati dal luogo e da ciò che viviamo ogni giorno.

normalizzare

Tendiamo sempre a far rientrare tutto in caselle, spigoli, linee, ben definite, a cercare un dentro e un fuori… ma spesso c’è una linea che diventa curva o tratteggiata ma resta sempre se stessa, ciò che è e ciò che potrà diventare.

Penso che questa sia la più bella forma di normalizzazione e la più potente spiegazione di salute mentale che si possa dare.

c’era una forma …

“C’era una forma” è un albo che mi ha subito entusiasmato perchè ne ho visto le sue potenzialità per parlare di salute mentale. Vedo questo albo illustrato fra le mani di adulti, di ragazzi, di bambini, lo vedo nelle mani di professionisti della salute mentale ma anche di persone che vogliono essere accettate per la loro forma e cambiare il regno in cui vivono, non le loro linee.  

Il libro puoi trovarlo qui https://www.ippocampoedizioni.it/libro/9788867226955

Le fedeltà invisibili: quando sono i figli a dover sostenere i genitori

“Le fedeltà invisibili” di Delphine de Vigan, ed. Einaudi

Ho trovato questo libro un po’ per caso, ma già il titolo “Le fedeltà invisibili” mi ha incuriosito. Il termine invisibile mi lascia sempre senza parole perchè penso che siano davvero tante le cose visibili, ma che rendiamo invisibili. Un libro che come tema centrale ha i figli, piccoli o grandi, che hanno dovuto sostenere i genitori, o hanno dovuto sopportare iniziato loro grandissimi sbagli.

Il libro è un intreccio di 4 storie che si incontrano, di quattro equilibri fragili, di 4 persone di età diverse, contesti diversi che hanno in comune genitori fragili: aggressivi, assenti, alcolizzati, impauriti.

Nel libro vengono descritti in modo davvero reale cosa accade nella mente di bambini, che sono o che erano, quando un genitore non rappresenta un porto sicuro, non riesce a chiedere aiuto e si lascia trasportare da sensazioni, paure, disturbi mentali.

Le fedeltà invisibili, sono quelle verso le relazioni che ci hanno cresciuto, verso le persone che abbiamo incontrato nella nostra vita. Nel libro troviamo la storia di un matrimonio sbagliato e un altro fatto per convenienza. Sono invisibili a chi non le vuole vedere.

Invisibili a una scuola che guarda al rendimento, ma non al benessere di un ragazzo costretto a indossare pantaloncini non della propria taglia e a correre in questo modo davanti ai compagni.

Sono invisibili davanti a una ex-moglie che è accecata dall’odio per il marito tanto da non vedere il malessere fisico ed emotivo del figlio. Sono invisibili a una madre così concentrata di fare “bella figura” da non accorgersi di un figlio che inizia a bere per gioco. Sono queste le fedeltà invisibili tra figli e genitori.

perchè leggere questo libro?

Credo che questo libro sia indispensabile per ogni adulto che osserva il mondo dei ragazzi, ci ricorda quanto sia importante osservare senza pregiudizi, vedere i comportamenti reali, perché potremmo vedere difficoltà che richiedono il nostro ascolto e il nostro intervento.

Il racconto oscilla continuamente fra comportamenti che potrebbero essere considerati normali, ma che diventano segni di difficoltà e problemi se si guarda al più ampio contesto. Penso che la grande forza sia la disperazione che si legge fra le pagine di questo libro. Mette in evidenza il famoso continuum fra salute e malattia, fra ciò che è fisiologico e ciò che può essere un disturbo su cui dovere intervenire.

dal libro alla realtà

Nella realtà ho trovato tanti spunti di riflessioni e alcune associazioni che si occupano proprio di questi temi.

Parto con COMIP https://www.comip-italia.org associazione creata e fortemente voluta da figli di genitori con disturbi mentale. Sul loro sito trovate sia come sostenerli sia i loro progetti. Questa associazione è un punto di partenza molto importante, sia per eliminare alcuni tabù su questi aspetti, sia per fare reale prevenzione. Nella nostra società solitamente non si pensa che siano i figli a prendersi cura dei genitori. Grazie a questa associazione si inizia a “dire” che non è così.

Della stessa autrice vi consiglio anche questo libro che Stefania Ciocca ha descritto benissimo con riflessioni molto reali che potete trovare qui https://www.stefaniaciocca.it/2022/05/09/tutto-per-i-bambini-di-delphine-de-vigan/

In questo libro si sottolinea quanto anche i social, la voglia di apparire, mostrare, l’egocentrismo sia una fedeltà invisibile al proprio ego.

Psicoeducazione: strumento di prevenzione

“Funny routines” Head

La psicoeducazione è uno strumento di prevenzione nell’ambito della salute mentale. Sia per riconoscere difficoltà e disturbi sia per prevenire ricadute o difficoltà maggiori che possono presentarsi in futuro.

Fare prevenzione è uno degli aspetti fondamentali del nostro lavoro come professionisti della salute mentale, ne avevo parlato qui https://www.serenaneri.it/salute-mentale-libri-divulgativi-che-parlano-ai-ragazzi/ ed è per questo che ho pensato ad una formazione specifica per professionisti sul tema della psicoeducazione.

che cosa significa psicoeducazione?

La psicoeducazione consiste in più modalità e strumenti che hanno però alcuni obiettivi chiari e comuni durante tutto l’arco di vita:

  1. informare le persone e i famigliari su determinate difficoltà, disturbi, problemi o sul regolare sviluppo emotivo e sociale
  2. Fare prevenzione: evitare sia le ricadute in caso di disturbi conclamati, sia prevenire perchè le persone possano in tempi adeguati, riconoscere determinati problemi (ansia, depressione, attacchi di panico, chiusura sociale, dipendenze…)
  3. Gestire al meglio le ricadute sia nel momento di un’eventuale crisi, sia per capire al meglio quando le crisi potrebbero accadere.

Negli obiettivi stessi di questo strumento ritroviamo proprio il punto centrale dell’articolo: la psicoeducazione è uno strumento di prevenzione.

come si svolge un intervento psicoeducativo?
Emozionario, Nord-Sud edizioni

Esistono vari tipi di percorsi che dipendono anche dall’obiettivo stesso dell’intervento. Esistono interventi specifici per alcuni disturbi del neurosviluppo, come ad esempio interventi specifici per bambini e ragazzi con ADHD o disturbi dell’umore; ed esistono interventi mirati e calibrati sul singolo se non è presente una diagnosi definita, oppure se si lavora in modo preventivo. Gli interventi possono essere svolti in gruppo o in modo individuale. L’aspetto fondamentale è quello per cui il professionista deve conoscere in modo specifico e approfondito l’argomento che andrà a trattare. So che può sembrare una banalità, ma non lo è!

Pensate alla psicoeducazione alle emozioni: se pensiamo che basti spiegare le emozioni di base, incorriamo nel tranello di appiattire ciò che nella realtà è complesso. Un bambino può essere sia triste che arrabbiato, può provare malinconia ma non tristezza. Per questo le sfumature, la modalità con cui le proponiamo e con cui noi per primi le abbiamo sperimentate, fa davvero la differenza.

Potevo non consigliare qualche albo illustratoa riguardo?!?!
“Ci conosciamo” ed. Terre di Mezzo

Molto utile è ad esempio questo albo di Terre di mezzo che vede le emozioni in modo metaforico, le spiega non in modo rigido e poco realistico, ma dà la possibilità ad ognuno di leggere le proprie reazioni, le proprie sensazioni senza giudizio. Ne avevo parlato qui https://www.instagram.com/p/CaMezJ6gmOq/?utm_source=ig_web_copy_link

Molto utile e dettagliato specie per i più grandi è “L’emozionario” edizioni Nord-sud, in cui troverete tutte le sfumature delle emozioni accompagnate a illustrazioni diversissime che possano piacere e quindi possano arrivare in modo diverso ad ogni persona. Anche questo aspetto della psicoeducazione è fondante: ci sono elementi fisici simili in ogni persona, ma poi ci sono elementi di grande cambiamento che dipendono dalla storia personale, dalla propria vita e dai propri valori.

Dobbiamo sempre cercare di personalizzare il più possibile per raggiungere obiettivi che restino nel tempo e capaci di orientare al cambiamento personale.

due webinar di formazione sulla psicoeducazione

Per questo ho pensato di creare due webinar che trattassero questi temi, due incontri pratici e ricchi di spunti da poter utilizzare nella pratica quotidiana! Trovate tutte le informazioni nelle locandine qui sotto.

Salute mentale: libri divulgativi che parlano ai ragazzi

Parlare di salute mentale, per molti è ancora un tabù o qualcosa di molto difficile, specie se occorre farlo con i ragazzi. Per questo ho raccolto qui i 3 libri divulgativi che parlano direttamente ai ragazzi di salute mentale.

LA PREVENZIONE

Partiamo da un po’ di studi scientifici e di come questi poi si ritrovano nei libri divulgativi che parlano ai ragazzi di salute mentale. Quando si parla di prevenzione facciamo riferimento a 3 livelli di prevenzione:

  • Primaria: una prevenzione che mira a favorire percorsi evolutivi resilienti e a promuovere abilità di base e competenze specifiche come quelle socio relazionali e comunicative. Sono interventi che vengono svolti per un grande numero di persone e non in modo specifico a un gruppo ristretto.
  • Secondaria: si basa sull’identificazione di fattori di rischio e ha l’obiettivo di ridurre al minimo il disagio e le difficoltà che potrebbero comparire. Ad esempio programmi in territori ad alto abbandono scolastico o verso persone che hanno familiarità con disturbi mentali.
  • Terziaria: è rivolta a chi presenta già un disturbo e ha l’obiettivo l’evitamento di un peggioramento o della comparsa di altri disturbi correlati.

Possiamo trovare alcuni interessanti spunti in questo articolo scientifico proprio sulla prevenzione https://ijmhs.biomedcentral.com/articles/10.1186/s13033-020-00356-9#Fig1 , lo so che è un lungo articolo ma cerco di spiegare in breve i punti fondamentali.

Prima di tutto sottolinea quanto moltissimi fattori di rischio e segni siano presenti già nell’infanzia e quanto un’alta probabilità di questi fattori di rischio diventi poi un fattore scatenante per un disturbo mentale conclamato (soprattutto ansia, depressione e uso di sostanze). Allo stesso tempo mostra come interventi di prevenzione secondaria in caso di problematiche familiari, abuso, violenza, disturbi del comportamento o deprivazione, abbiamo dato ottimi risultati e una bassa percentuale di disturbi mentali conclamati. Da qui si descrivono alcuni step clinici con cui sono stati valutati interventi di prevenzione su larga scala… e la cultura diventa così uno degli interventi primari e necessari!

i libri come veicolo di prevenzione

Piccola guida al benessere mentale,
Ed. Usburne

Arriviamo quindi all’importanza dei libri citati all’inizio e al loro prezioso contenuto. Trovare dei libri con un linguaggio adatto ai giovani e che spieghino le basi di come funziona il nostro cervello e di come possiamo vivere la nostra salute mentale, è fondamentale. Se fossero in ogni scuola, in ogni biblioteca, se facessero parte di progetti strutturati per la maggior parte di bambini e ragazzi, avremmo già fatto una gran parte di prevenzione primaria!

Nei libri è possibile trovare alcune riposte, vedere aspetti scientifici e poter riguardare in caso di bisogno, alcune descrizioni, come ad esempio “come respirare per calmarsi”.

cosa c’è nella mia testa
cosa c’è nella mia testa, Ed. Il castoro

Nel libro “Cosa c’è nella mia testa” https://editriceilcastoro.it/libri/le-15-domande-cosa-ce-nella-mia-testa/ ; troviamo 15 domande che spesso i bambini e i ragazzi si pongono riguardo al cervello e al benessere mentale. Oltre a questo anche alcuni box in cui si spiega il perché di alcuni modi di dire ma anche di alcuni pregiudizi .

Sono domande semplici ma che vengono spiegate in modo concreto e scientifico.

Fra cui anche la domanda “perchè devo dormire?” una delle domande che ogni adulto ricorda di aver posto, e ogni bambino e ragazzo sente spesso come un’attività del tutto superflua!

sicura di te

Cerco di riassumere questo libro in alcuni concetti chiave ( il libro potete trovarlo qui: https://editriceilcastoro.it/libri/sicura-di-te-rischiare-sbagliare-e-vivere-felice-imperfetta-come-sei/ ):

ISPIRAZIONE: l’essere sicuri in noi stessi parte sempre dalle figure di riferimento che abbiamo avuto: madri, amiche, personaggi famosi ed internazionali, personaggi di libri… avere un modello che possa aiutarci a mostrare i nostri punti di forza e migliorare nelle nostre criticità. Avere l’idea di poterci migliorare, di poter fare meglio (quella che si chiama in modo tecnico “intelligenza incrementale”) ci aiuta nel cambiamento personale e aiuta al cambiamento anche in senso evolutivo, cioè da bambini ad adulti.


ERRORI: il “rischio”, accettare il rischio senza fare stupidaggini. Riflettere sull’essere ciò che si desidera valutando però ciò che questo comporta. Nel libro troviamo una riflessione sui modi per superare un eventuale fallimento: sbagliare non è un problema, può esserlo se ci lasciamo inghiottire da quell’errore.

RIPARTIRE: se sbagli, se fai le cose non al meglio, se sbagli amicizie, si può ripartire! ( sugli errori avevo già scritto qui https://www.serenaneri.it/imparare-a-sbagliare-gli-errori-come-modello/)

RIPROGRAMMARE IL TUO CERVELLO: ci sono stereotipi, cose che devi e non devi fare, modelli che devi o non devi seguire, vestiti che devi o non devi comprare… il tutto perché ti hanno insegnato a programmare il cervello in un certo modo, la cosa stupefacente è che tu puoi riprogrammarlo! Una delle parti di questo libro divulgativo che ho amato di più e utilizzato di più!


PERFEZIONISMO: con alcuni esercizi e riflessioni proposte dal libro non cercherai la perfezione, ma capirai cosa osservare, e in che modo, per evitare di raggiungere un ideale di perfezione, ma andare verso ciò che ti rende davvero quella che sei.

piccola guida al benessere mentale

La salute mentale cambia nel corso della vita e occorre prendersene cura: spiega che alcuni momenti di tristezza, di ansia, di difficoltà sono normali, ma che se ci sono altri segni o i tempi diventano più lunghi occorre recarsi da uno specialista.

Piccola guida al benessere mentale, Usburne

Nella guida si parla di disabilità: punto che mi ha entusiasmato perché spesso non viene preso minimamente in considerazione. Parla di disabilità personale ma anche della fatica di vivere con un famigliare disabile. Penso ai fratelli di persone disabili che spesso vengono investiti di grandi responsabilità e che possono avere bisogno di un supporto. Esiste anche la possibilità di essere figli di persone con disabilità, fisiche o mentali. In questa parte si pone grande attenzione al “poter chiedere” un aiuto come sostegno personale per migliorare il proprio benessere mentale.

Sessualità: intesa come orientamento sessuale e educazione all’affettività, tema importantissimo ma ancora un grande tabù.

Social: l’influenza dei “mi piace” sui social e la differenza fra le istantanee di vita e quelle modificate per ottenere un’approvazione virtuale. Cosa innescano i “mi piace” nel nostro cervello e cosa fare per ottenere approvazioni nella realtà.

Problemi salute mentale: quali sono i principali, come si manifestano e quando chiedere aiuto ma anche cosa fare se un amico ti confida alcuni problemi personali.

come si è evoluto il nostro cervello…

Puoi trovarlo qui: https://usborne.com/it/piccola-guida-al-benessere-mentale-9781474964876

Spero possano uscire tanti e tanti altri libri su questo tema: per togliere il tabù nel parlarne, per aiutare i più giovani a poter chiedere aiuto in modo naturale e per condividere pratiche di prevenzione primarie ma essenziali.

..quindi è normale…

Il tuo cervello è come un televisore con antenna che riceve e trasmette informazioni, e a volte, in qualsiasi periodo della vita, queste trasmissioni possono essere disturbate. A volte sono momentanei, altre volte cronici…

Cosa c’è nella mia testa.

Pssst! i pensieri segreti di Viola … e il suo corpo…

un libro come strumento di prevenzione

Quanto sono segreti i pensieri, ma anche quanto sono concreti, reali, quanto ci fanno sentire bene o ci creano dolore e confusione. Proviamo a non sentirli, ma i pensieri segreti fanno parte di noi e ascoltarli aiuta a conoscerci, come accade a Viola in “Psst, i pensieri segreti di Viola” … e il suo corpo.

Psst! I pensieri segreti di Viola, Sinnos editore

Viola è un’adolescente che racconta ciò che pensa, ciò che sente, ciò che le fa paura ma anche ciò che le piace, Viola in questo libro racconta tante cose di sé, ma vorrei soffermarmi su come racconta il suo corpo.

Agli occhi degli adulti spesso il corpo di un adolescente è qualcosa di inatteso, inaspettato, qualcosa che evolve in maniera del tutto inaspettata ma anche spaventosa perchè incerta. Agli occhi di Viola il suo corpo… è esattamente così!

Viola cambia velocemente, si guarda, cerca di immaginarsi, di conoscersi, si ritrova nelle facce buffe e in quelle serie fatte davanti a uno specchio, scopre il suo nuovo compagno di vita, il suo corpo, attraverso lo specchio, attraverso gli altri e attraverso ai suoi pensieri.

“A partire dalla preadolescenza le certezze relative al proprio corpo vengono meno e l’individuo è sollecitato a costruirne di nuove , sulla base sia delle trasformazioni anatomiche e fisiche  sia delle attese sociali rispetto all’identità corporea tipizzata: cogliere il punto di vista altrui su di sé e riflettervi si propone come esigenza attiva, volontaria e fortemente ricercata”

-L’inganno dello specchio, L. Dalla Ragione e S. Mencarelli

Prova diversi vestiti, abbina, cambia, si cambia…forse cambia troppo o forse troppo poco; i pensieri si sovrappongono e cambiano da bellissimi a terribili, cambino in continuazione e spesso fermarli e osservarli diventa difficile. Viola cerca ricordi passati, pensa a colorarli a schematizzarli, cerca di racchiuderli in categorie definite…cerca.

come si forma la nostra immagine corporea
Chiedersi “Chi sono io?” significa conoscersi, costruirsi e costruire una mappa di sé in continuo cambiamento

Quello che mostra Viola è come realmente si forma la nostra immagine corporea, come pensiamo il nostro corpo, come lo vediamo e lo sentiamo. Viola attraverso le immagini sul foglio ci fa vivere il passaggio dai pensieri alla realtà, dall’astratto al concreto, e se questo processo non accade o si interrompe, i pensieri di inadeguatezza possono diventare più grandi di me, possono travolgermi.

Penso a quanto sarebbe utile portare questo libro nelle scuole, parlare già ai preadolescenti, del loro corpo, chiedere di guardare queste immagini così reali, così vivide, così vicine e pensare insieme al loro corpo, dare una voce ad un corpo.

Spesso quando si pensa ai disturbi alimentari si pensa che siano solo legati al cibo, ma la parte preponderante spesso è il pensiero legato al proprio corpo, qui la bravissima collega dott.ssa Francesca Tamponi ne parla in un articolo del suo blog: https://dalunediproject.com/index.php/2020/11/30/perche-la-tua-immagine-corporea-e-cosi-importante/

Il corpo viene considerato come un oggetto, da guardare, da misurare, da vestire, da adattare, da sistemare; un oggetto che deve raggiungere una determinata e predefinita forma. C’è una scena molto realistica nel libro in cui Viola si trova fra le frasi “sei un po’ cicciottella” “viola, mangia sei uno stecchino” e “sei assolutamente normale”, da queste frasi parte la ricerca di se stessa. Attraverso il suo corpo, attraverso la sua storia e attraverso le sue emozioni tenendo un diario colmo di disegni, appunti, materiale incollato… un diario che tiene insieme chi è lei.

perchè parlare di prevenzione?

Parlare di prevenzione significa modificare le parole che usiamo spesso in modo superficiale per fare spazio a relazioni e parole più attente, che vanno verso la persona e che non la ostacolano. Significa accompagnare lo sviluppo emotivo, cognitivo e fisico di una persona cercando di prevenire difficoltà o intercettarle prima che diventino un reale problema per la persona.

Fare prevenzione anche attraverso al disegno significa dare tempo e spazio, spazio inteso proprio come spazio fisico, alla persona di conoscersi, riconoscersi e disegnarsi.

“Il disegno che qui consideriamo nella sua funzione narrativa, è un’opportunità e, dunque, una responsabilità”

Prendere posizione, il corpo sulla pagina”, A. Trabacchini Hamelin

Quindi quando penso a questo libro penso a quante attività di attivazione si possono creare attorno alla storia di Viola che è la storia di tanti ragazze e ragazzi che imparano a conoscere il proprio corpo. Penso a quante attività riabilitative siano basate sul disegno del proprio corpo e quanto ci sia ancora poca consapevolezza e poco realismo nel disegnare il nostro vero corpo. Abbiamo interiorizzato una forma che spesso non ci assomiglia ma che assomiglia a ciò che desideriamo, a ciò che ci viene chiesto.

disegnarsi: prendersi spazio sul foglio

Disegnare il proprio corpo significa prendere e dare spazio a se stessi, significa modellare le proprie idee e poterle dare parole e colori. Scrivere ciò che ci viene detto significa prendere consapevolezza che alcune frasi non andrebbero proprio dette nemmeno con la giustificazione “ma non pensavo di poterti far male!”.

Accompagnare questa consapevolezza alla vista di immagini, alla lettura di parole, aiuta a comprendere che alcuni temi comprendono tutti, che non si è strani e nemmeno soli; questa consapevolezza può prevenire il radicarsi di pensieri estremi come “sono bruttə… sono enorme e non piacerò a nessuno… devo dimagrire per essere accettatə… mi vergogno del mio corpo o di questa parte del mio corpo…”.

Fare prevenzione è possibile nelle scuole, in casa, tramite un link su internet… è possibile in tanti diversi modi occorre però iniziare a farlo.

Il gioco in riabilitazione

giocare oltre le regole: progettare e divertirsi durante le attività

Il gioco in riabilitazione è uno strumento fondamentale per motivare i bambini e per raggiungere veri obiettivi riabilitativi. Ma andiamo con ordine.

perchè il gioco in riabilitazione?

La riabilitazione in età evolutiva, cioè con bambini e ragazzi, può avere varie caratteristiche:

  • può potenziare delle abilità presentii parte o in modo non sufficiente ( attenzione, memoria, pianificazione di una serie di attività),
  • può abilitare nel caso non siano presenti alcune specifiche abilità come ad esempio la capacità di condivisione o di relazione reciproca

In ogni caso la scelta del tipo di obiettivo avviene dopo una valutazione delle abilità specifiche della persona sia attraverso test, che attraverso un’attenta osservazione.

Il gioco è uno strumento fondamentale in riabilitazione perché dentro il gioco possiamo trovare storie, strumenti, agire sulla relazione e sulle singole abilità cognitive (attenzione, memoria, logica…) e assieme a questo il divertimento, la relazione interpersonale e la possibilità di mettersi alla prova attraverso situazioni nuove e che possono ripresentarsi nella vita di tutti i giorni.

Come organizzare il gioco in seduta

La prima cosa da fare è sempre pensare all’obiettivo che si intende raggiungere nell’intervento, sia nel lungo termine che nel breve termine, da qui si inizia a pensare a quale sia il gioco più adatto anche in base al desiderio e a ciò che piace alla persona.

Attenzione! Ogni gioco può essere adatto a un obiettivo perchè ciò che fa la differenza è il modo in cui lo pensiamo, e soprattutto i modi che ci aiuteranno a gestire gli errori e le difficoltà che possono emergere durante il gioco ( di errori ne avevo già parlato qui https://www.serenaneri.it/imparare-a-sbagliare-gli-errori-come-modello/) .

Prima di iniziare un gioco è importante pensare ai pre-requisiti, cioè a quelle caratteristiche che sono indispensabili per poter giocare. Ad esempio se è un gioco sulla turnazione, occorre che il bambino o la bambina conoscano l’alternanza del turno, se c’è un dado occorre che conoscano i numeri fino a 6… in caso contrario si può pensare a un dado con i colori e non coni numeri o di un’attività che aiuti nella conoscenza base di questa abilità.

gestire le difficoltà

Pensare a come gestire le difficoltà è un’altra parte fondamentale del gioco: in che modo correggere il bambino o la bambina davanti a un errore? Occorre dare un aiuto verbale o attraverso l’esempio e il comportamento?

Guardate ad esempio la foto qui sotto: come possiamo correggere questo errore nel posizionamento delle carte? Ma soprattutto quale sarà il metodo migliore perchè poi questa correzione possa essere generalizzata anche in altri contesti ed apprendimenti?

Possiamo ad esempio mostrare un modello della nave, indicare al bambino di riguardare con attenzione ciò che ha fatto, staccare leggermente le carte posizionate in modo errato e riprovare. Tutte queste modalità che richiamano le tecniche comportamentali più conosciute (modeling, shaping) sono corrette, ma vanno scelte capendo ciò che può servire di più alla persona. Questo significa anche riflettere a come può riproporre successivamente quella strategia in altri contesti.

Giocare in terapia deve sempre essere accompagnato al divertirsi, solo in questo modo stimoleremo la motivazione, l’attenzione e le capacità necessarie per poter potenziare anche le abilità superiori… e poi divertirsi fa un gran bene anche a noi adulti!

Se siete interessati a questo argomento, qui sotto trovate un link a Ko-fi e attraverso un piccolo caffè potete trovare un pdf in cui trovare altre informazioni sul gioco

Raccontare la propria storia

Scritto e illustrato da me di Liniers, Terredimezzo Editore

Raccontare la propria storia, raccontarsi agli altri, è forse la cosa più difficile da fare, specie se si è un bambino.

Di solito chiediamo ai bambini cosa sanno fare o cosa non sanno fare, cosa piace e cosa non piace, ma non chiediamo mai di raccontarci una storia. Magari chiediamo che ci raccontino cosa hanno fatto, ma le loro storie immaginarie, o i loro racconti personali li ascoltiamo davvero?

Quando si lavora assieme ai bambini in un contesto riabilitativo, di cura e di relazione, non possiamo non stare ad ascoltare le loro storie, o meglio è nostro dovere chiedere di raccontarcele, con pazienza, con tempo, con sensibilità soprattutto senza giudizio!

Scritto e illustrato da mehttps://www.terre.it/?s=scritto+e+illustrato+da+me è un ottimo esempio di come nasce una storia, di quante domande la creano e di come l’idea di giusto e sbagliato o di bello e brutto, siano davvero soggettive e a volte anche un po’ inutili rispetto alla bellezza e alla pienezza di una storia ben raccontata e significativa.

Appena ho letto questo libro l’ho pensato come ci siano tantissimi aspetti visibili in questo libro, aspetti che solitamente sono difficile da rendere reali durante le attività.

le parole che prendono forma

Un libro che dichiara pensieri ed emozioni come: rimanere a bocca aperta, scritto in blu! Quel cambio di colori, quelle sottolineature, quanta realtà e concretezza. Queste pagine possono aiutarci proprio a metterci in ascolto delle sensazioni che le storie degli altri, ma anche la nostra storia, può far nascere all’improvviso.


“Che ne dici, li tiriamo fuori di lì?”

Il fumetto: quella strana nuvoletta disegnata che può mostrare graficamente pensieri o parole, quella linea che spesso viene bistrattata con “solo un fumetto dai!” ma che invece racchiude, è proprio il caso di dirlo, racchiude le parole che pronunciamo. Accade spesso che come attività terapeutica si chiede ai bambini e ragazzi di scrivere qualcosa di sé, o di disegnarsi; questo però può essere un ostacolo perchè i bambini sentono spesso che ciò che producono viene giudicato, ma questo libro può aiutarli a mettersi in moto, ad avere un segno visibile del fatto che è possibile scrivere una storia, ed è possibile che sia bellissima perchè: guardiamo il processo e non il risultato!

Con questo libro così buffo quanto profondo, ricovriamoci che quando chiediamo che ci venga raccontata una storia, la storia personale, sono i singoli passaggi che fanno la differenza e danno unicità al tutto, che rendono quella storia davvero personale.

…e c’è anche qualcosa in più…

Alla fine del libro ci sono anche dei preziosi consigli per gli adulti su come guidare la lettura e con il consiglio migliore di tutti: DIVERTITEVI!

Come parlare ai bambini della morte attraverso l’educazione emotiva

Durante il periodo di emergenza sanitaria, sentivamo quotidianamente parlare di morte, attraverso l’uso di tantissimi sinonimi , da “lutto” a “perdita” ma come parlare ai bambini di questi difficili temi?

Libri e albi illustrati sulla morte e la perdita
Tabù, Ti ricordi ancora, Sette minuti dopo mezzanotte

Mentre ascoltavo o leggevo le notizie, pensavo a tutti quei bambini a cui veniva raccontato che un loro parente, amico o vicino di casa, era morto. Ho pensato a quanti genitori e famigliari potevano trovarsi in difficoltà e l’uscita di questo libro mi è sembrato  necessario in questo momento.

Tabù di Alberto Pellai e Barbara Tamborini, Mondadori

Durante la lettura ho apprezzato l’integrazione di parti neurobiologiche con altre più legate all’educazione, un bellissimo connubio grazie ai due autori: Alberto Pellai medico e psicoterapeuta e Barbara Tamborini, psicopedagogista.

Il libro non affronta solo il tema della morte ma anche quello della separazione, non parla solo dell’evento e di come spiegarlo  in modo adeguato ai bambini , si concentra anche in modo pratico ma non semplicistico sulla modalità con cui i genitori o gli adulti di riferimento possono accompagnare questi momenti.

È un libro pieno di riflessioni in cui si passa dalla teoria alla pratica, dove il punto di accordo è l’importanza di dare ai bambini un’educazione famigliare al tema della perdita, non solo nel momento in cui ci si trova ad affrontarla, ma anche in altri momenti della quotidianità familiare.

Questo libro si basa sull’alfabetizzazione emotiva di cui riporto una breve frase tratta dal libro stesso:

“ Chi non ha dimestichezza con il mondo delle emozioni rischia di restare intrappolato in un intreccio di sensazioni a cui non sa dare parola. Il bambino impara piano piano a esprimere quello che sente dentro; a casa, a scuola, ovunque, è costantemente immerso in un flusso di relazioni che generano in lui sensazioni positive e negative. L’alfabetizzazione emotiva è un compito lungo e impegnativo. A seconda della modalità con cui gli adulti di riferimento affrontano il lutto – soprattutto in fase precoce – il bambino potrà strutturare le proprie modalità di reazione ed elaborazione in modo più o meno funzionale.”

In questa frase è raccolta la parte più importante dell’intero libro, non è un manuale pronto all’uso per l’occorrenza, ma un insieme di modalità da utilizzare nella quotidianità. Non si rivolge solo ai genitori ma anche ai docenti e alla scuola, perchè anche come gruppo classe, come istituzione si è tenuti ad accogliere il dolore di un bambino o di un ragazzo ( prima di essere un alunno resta sempre una persona!), occorre avere uno sguardo anche sul gruppo classe e saper gestire le domande che possono sorgere da tutti. Il capitolo che interessa la scuola si apre in questo modo :

“Spesso, nelle classi, si vivono lutti, separazioni o eventi più o meno gravi, con implicazioni molto diverse a seconda delle capacità di percezione e comprensione degli alunni. Se gli eventi sono improvvisi e con risvolti molto complessi, l’impatto sulla psiche dei minori coinvolti direttamente e indirettamente rischia spesso di essere notevole. Mentre la normale programmazione didattica continua a dettare i calendari delle attività scolastiche, può succedere che qualcosa irrompa sulla scena e susciti nei docenti un interrogativo importante: che spazio dare a tale evento?”

La prima cosa che gli autori chiedono di fare a insegnanti ed educatori è quello di porsi delle domande, di non lasciare passare la cosa come se nulla fosse… tutto questo rientra proprio nell’alfabetizzazione emotiva.

All’interno del libro si trovano numerosi spunti pratici fra cui film e libri dedicati a questi temi, alcuni per i ragazzi e altri per gli adulti. Non sono schede o domande precostituite ma spunti di riflessione che possono aiutare gli adulti a trovare le giuste modalità comunicative per accompagnare i propri figli in questi vissuti.

Così ho deciso di aggiungere a questa recensione altri due libri per ragazzi e bambini ( il primo è consigliato anche dagli autori del libro).

“Sette minuti dopo la mezzanotte” di Patrick Ness edito da Mondadori

Un libro che ho conosciuto qualche anno fa e che ho avuto la fortuna di leggere all’interno di alcune classi, con le giuste domande è riuscito a smuovere anche i ragazzi all’apparenza più duri e all’apparenza svogliati che hanno espresso splendide riflessioni…e perchè? Perchè questo libro unisce il fantastico alla fiaba, la realtà all’immaginazione ed è scritto in modo fluido riuscendo a catturare l’attenzione anche dei lettori meno convinti. Da questo libro hanno tratto anche l’omonimo film, fedelissimo al libro e per questo super consigliato. La storia reale parla di una ragazzo e della sua mamma che sta morendo a causa di un tumore, parla delle difficoltà del parlarne e del doversi ricostruire un “dopo”…ma un saggio e spaventoso albero aiuterà il protagonista a trovare le giuste parole e i giusti pensieri proprio per il suo dopo…

“Ti ricordi ancora” di Zoran Drvenkar e Tutta Bauer edito da Terre di mezzo

Un albo illustrato in cui due donne raccontano la loro amicizia fatta di storie incredibili, avventure e di perdite. Non parla di bambini ma la sua particolarità sta proprio nel raccontare, nella quotidianità, il trascorrere della vita. È un albo poetico e pratico allo stesso tempo che aiuta anche a capire lo scorrere normale della vita, le situazioni che accadono e che non vanno nascoste.

La conclusione la lascio agli autori di “Tabù” perchè non saprei proprio scegliere parole migliori di queste:

“Leggete queste pagine come un allenamento in grado di potenziare la vostra muscolatura emotiva, per essere pronti quando i vostri figli vi chiameranno per affrontare le loro paure e per rispondere alle domande che portano nel cuore”.

Diventare grandi con la Mindfulness

Partiamo dal fatto che per molto tempo sono stata molto scettica rispetto la Mindfulness sia per la pratica che nella teoria, mi sembravano lontani dalla realtà, mi sembravano solo parole per vendere o convincere le persone, una delle tante mode che passavano per le sfere psicologiche e riabilitative. Poi ho iniziato a informarmi e capire di più perchè c’era qualcosa che in fondo mi attraeva in questa pratica della Mindfulness.

“Impareranno ad associare la mindfulness a qualcosa di benefico per loro, se praticarla sarà un momento di benessere e non di stress. Integreranno qualità mindful nella loro vita quando lo vedranno fare a te […] che sei l’adulto del loro cuore ” (pag. 29)

Ho letto alcuni articoli scientifici, studi specialistici, tutto chiaro ma mi sembravano ancora poco pratici e poco realizzabili; ho cercato alcuni libri per bambini, ma sembravano adatti solo a bambini già “adatti” a certi tipi di esercizi… poi ho scoperto questo libro.

Già dal titolo lo trovo bellissimo, il fatto che fare minduflness con i bambini significa esserlo noi come adulti; significa già incorporare il fatto che non è una pratica che va di moda, ma uno stile di vita che deve partire dagli adulti e si torna sul concetto fondamentale di esempio.

Lavinia ha condensato in questo libro anni di pratica in cui descrive le difficoltà delle persone che si sono avvicinate, assieme alle bellezze che la potenzialità mindfulness ha al suo interno; i libri che partono dalla sperimentazione sono sempre quelli che preferisco perchè sono concreti, pratici e reali. Durante la lettura del libro mi sono sentita meno imperfetta, più capace, e ho pensato che già questo passaggio sia fondamentale per il lavoro che svolgo con bambini ragazzi ogni giorno. Chiedo loro di sentirsi così: capaci. 

Questo libro permette di cogliere la pratica mindfull nella generalizzazione di ogni momento, certo sono presenti esercizi e spunti per poter avere momenti dedicati, ma è tutta la spiegazione precedente che permette davvero di poter cambiare.

All’interno del libro troverete Goleman, San Francesco di Sales, citazioni di bambini e di adulti, riflessioni che vi colpiranno sul personale e altre che vedrete subito trasportabili nella pratica quotidiana. Troverete e ritroverete tanti aspetti conosciuti come l’importanza delle emozioni, il mito della perfezione e la ricerca della felicità, ma troverete anche le riflessioni che stanno dietro a queste estenuanti e sempre presenti ricerche.

Quindi se come me siete un po’ scettici, vi sentite distanti o semplicemente volete conoscere qualcosa in più senza scendere in troppi tecnicismi, questo è il libro che fa per voi…e vedrete come leggerlo sarà già un momento mindful per venire in contatto con le vostre emozioni o con ciò che siete.

Trovate tutto qui https://laviniacostantino.com/diventare-grandi-con-la-mindfulness

Imparare a sbagliare: gli errori come modello

Siamo stati cresciuti ed abituati a vivere l’errore come un fallimento, ci hanno insegnato  che sbagliare vuol dire non impegnarci abbastanza e che gli errori il più delle volte, sono solo colpa nostra, non siamo mai riusciti a vedere gli errori come un modello, non abbiamo davvero imparato a sbagliare.

Qualcuno ha provato a spiegarci che a volte si impara proprio dai propri errori.

Abbiamo letto libri, visto film in cui i protagonisti hanno vissuti i propri errori in modo positivo e ne sono risorti, e altri che sono stati schiacciati dai propri errori.

Ma in riabilitazione spesso gli errori sono ciò che ci aiuta fare una diagnosi, ci dicono cosa non funziona come dovrebbe. Alcuni errori derivano da un disturbo  neurobiologico, altri invece da difficoltà che trovano le loro radici in apprendimenti non corretti, e non mi riferisco solo ad apprendimenti a livello scolastico ma anche di tipo relazionale ed emotivo.

In ogni caso l’errore diagnosticato ci dice le difficoltà ma non è sufficiente per capire come e quale passaggio possiamo potenziare o riabilitare per aiutare la persona che ho davanti.

Possiamo creare assieme a loro un modello! Sì come il carta modello che si usa per tagliare i vestiti, un modello che serve come base ma che poi si può modificare a seconda delle necessità!

Cosa possiamo fare per questi bambini e ragazzi, per comprendere realmente il loro errore? Possiamo creare assieme a loro un modello! Sì come il carta modello che si usa per tagliare i vestiti, un modello che serve come base ma che poi si può modificare a seconda delle necessità!


 Ma c’è un altra funzione dell’errore che mi preme, ed è quando l’errore lo compiamo noi adulti ( in famiglia, sul lavoro, con gli amici…) e magari riusciamo anche a spiegare il perchè è stato commesso quell’errore ma spesso il problema è chiedere scusa.

La maggior parte di errori comunicativi deriva proprio dalla difficoltà o dall’incapacità di riuscire a chiedere scusa, dal fatto che abbiamo ancora quel pensiero disfunzionale che ci limita e ci impone di pensare che il nostro errore è un fallimento.

Quando parlo con gli adolescenti del come vivono i propri errori a scuola, ad esempio, il problema maggiore è sempre legato al “cosa penseranno gli altri” ed è lo stesso pensiero che ho avuto io e che ancora ogni tanto giunge alla mia mente quando qualcosa non va come avevo desiderato.

Ecco qual’è la nostra percezione dell’errore, è legata al giudizio che gli altri potrebbero avere su di noi…attenzione: potrebbero! Perché c’è un altro pensiero in agguato in queste situazioni, l’avere la certezza che davvero quell’errore possa cambiare il pensiero che gli altri hanno su di me.

Ma se penso al motivo dell’errore e sono capace di spiegarlo in modo adeguato tutti questi pensieri non hanno più senso e posso dare a quello sbaglio la giusta dimensione: un piccolo passo falso e non un intero cammino sbagliato.

Ecco qual’è la nostra percezione dell’errore, è legata al giudizio che gli altri potrebbero avere su di noi

Cerchiamo sempre di più di non fermarci agli errori come sbagli ma come linee guida per costruire nuovi modelli.